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La mano

Quando pensiamo alla mano e ci riflettiamo un attimo restiamo tutti incantati dalle impressionanti capacità di questa parte. In fisiologia la mano è pensata come un semplice prolungamento del cervello, il modo col quale ci si relazione nell’ambiente. Poi però non pensiamo che le abitudini mortificano questo strumento prezioso di cui siamo dotati e utilizziamo grosse lateralità (ovvero i destrimani quasi ignorano la mano sinistra), non ce ne prendiamo assolutamente cura (salvo il capitolo delle unghie per le donne) e, generalmente sappiamo ben poco delle numerose regole che sottende questo mirabolante complesso.

Con la presente dispensa siamo a stuzzicare la curiosità ed il piacere di conoscere qualche piccolo segreto per poter evitare i più comuni problemi della mano.

Con ciò vogliamo quindi anche stimolare ad una cura appropriata della mano ricordando che quando insorge una sofferenza tendinea, un’artrosi significativa o una alterazione tissutale si perde una gran capacità funzionale, una grossa fetta di relazione con l’ambiente e una certa parte di espressività.

Questo è tutto ciò che possiamo fare nel rispetto della mano, poi però bisogna anche aggiungere il fatto che alla mano capitano il 40% di tutte le fratture del corpo, 24 per metacarpo, 16 per le falangi. Nella statistica queste accadono più agli uomini perchè più esposti.

PALEO-ANTROPOLOGIA

   La mano è un comparto estremamente delicato e sofisticato in cui ogni singola articolazione è responsabile del 50% della funzionalità dell’intero arto. A titolo di esempio, se non ci fosse il mignolo perderemmo molta della forza complessiva nella presa e verrebbe a mancare quella coaptazione con la quale riusciamo a raccogliere acqua, o semi, e riusciamo a formare un pugno stabile.

Nell’evoluzione il sapiens ha accorciato l’ulna, ridotto la sua superficie articolare e rinunciato quasi completamente all’antico menisco (deputato a gestire il carico). Tutto ciò per acquisire maggior destrezza nell’uso in prono-supinazione della mano. Sarebbe stato ripagato immediatamente con l’acquisizione delle capacità prensili.

A tal proposito l’arco trasverso ha un avvallamento possibile al livello del mignolo che concede molta forza al lato ulnare.

La complessa anatomia della mano si è costituita nei millenni per svolgere delle funzioni impensabili nel regno animale ed impensabili se poi osserviamo con che tipo di nuovi utilizzi sta affiancando la tecnologia. Ogni parte della mano ha i suoi segreti e le sue magie, ad esempio: se pieghiamo un dito alla volta queste non vanno giù dritte ma si orientano verso lo scafoide. Questa è una disposizione molto importante per poter formare il pugno, perché in questo modo le dita, quando scendono assieme, si stringono tra loro a formare una unica unità funzionale. In questo contesto il medio è l’unico che scende dritto, ma, sempre verso lo scafoide.

In questa “euforia” delle particolarità bisogna notare che tutte le dita sono diverse, il medio è il più lungo, il pollice è il più corto, l’indice è torto, l’anulare corre l’ungo l’asse longitudinale ed il mignolo ha, tra le altre cose, funzione di “bilancino”.

Il pollice ha perso una falange con l’evoluzione per consentire una precisione maggiore per l’opposizione. Per capire questo particolare basti pensare che con due bacchette allineate sarò più preciso che non con tre, inoltre, con due stuzzicadenti sarò più preciso se non che usando due mazze da golf.

L’evoluzione dell’homo ha inizio esattamente dalla comparsa della articolazione a sella della trapezio-metacarpale che consente l’opposizione. Questa complessa funzione è determinata da 8 muscoli finemente coordinati tra loro da attività celebrali uniche tra le specie animali e uniti da legamenti.

Come nella caviglia i legamenti hanno tenuta meccanica ma anche ruolo legato alla sensibilità grazie alla fitta presenza di propriocettori. Vi sono moltissimi Ruffini, sensori specializzati che rispondono poco alla pressione e compressione ma contribuiscono molto a stabilire la posizione tridimensionale, i sensori di Pacini invece, deputati al riconoscimento della pressione, si infittiscono ai polpastrelli.

La forza espressa alla mano è una organizzazione piramidale, se al test della forza il pinzometro mi rileva 10 kg di pressione vuol dire che il polso ne sta sostenendo, per lo stesso sforzo, 150 kg. Sembrano valori incredibili ma, tutto sommato, pensando che una volta le mani portavano il peso nel passo quadrupedico, non è poi così ingiustificato, soprattutto se pensiamo che un salto dal muretto corrisponde alla caviglia una compressione pari a 5/700 kg.

Questa capacità notevole di sostenere il carico convive con una distribuzione ossea senza pari in cui le due ossa dell’avambraccio prendono rapporti con la prima fila di quattro ossa del carpo, fa seguito la seconda fila e poi i cinque metacarpi che portano alle falangi. Molte di queste ossa sono molto piccole ma importantissime, citiamo ad esempio lo scafoide che funge da chiave di volta del carpo, ha la dimensione di un’arachide, ma, senza questo cede tutto il sostegno della volta carpale e quindi l’intera capacità funzionale.

Situazione analoga per i legamenti del semilunare, se sono integri tutto armonizza, ma se dovesse rompersene uno si assisterebbe allo scivolamento (e quindi blocco) dello scafoide che scapperebbe in flessione da una parte e  al blocco del piramidale che va in estensione dall’altra.

Alle spalle della mano le parti che ci relazionano con essa sono anch’esse piuttosto sofisticate perché partecipano alla disposizione della mano attraverso la prono-supinazione (palmo verso l’alto o verso il basso). Questo meccanismo tende ad allontanare radio e ulna in supinazione rimanendo assieme solo grazie alla membrana interosseo che si detende in pronazione aumentando così il rischio di frattura in occasione di impatti violenti.

Infine, tra radio-ulna e carpo esiste una struttura anatomica, residuo di quel menisco al quale abbiamo rinunciato con l’evoluzione, che si compone di parti molto soggette a lesione. Una sua alterazione vettoriale produce sovraccarichi e disfunzioni notevoli che si evidenziano nell’uso della mano stessa.

Uno dei gesti più completo e complesso che la mano è in grado di produrre e per il quale l’homo sapiens ha l’”esclusiva” rispetto a qualsiasi specie comparsa sulla Terra fino ad ora è: Il movimento del “lancio del dardo” (o freccette o martello). E’ permesso da determinate libertà articolari, una complessa sequenza nello schema motorie e dei legamenti che ne controllano la guida e lo stop. Scafoide e semi-lunare, nel soggetto sano, non si muovono in questa sequenza. Si passa da una contrazione concentrica ad una eccentrica quando poi però la parte più significativa del gesto è quella di controllare la stabilità. In rieducazione si usa il martello contro la fitball a muro in modo da non offendere i tessuti con le forti sollecitazioni di fine escursione ed in modo da poter lavorare esclusivamente sul controllo della stabilità dei distretti coinvolti.

VALUTAZIONE

La prima valutazione che un fisioterapista deve fare è sull’atteggiamento. Spesso il paziente protegge la mano, tiene il braccio addossato al corpo e non porge la mano per il saluto, situazione che si accompagna generalmente a quadri clinici con molto dolore. E’ importante riconoscere le limitazioni di movimento anche più fini, qualcuno dà la mano con le dita rigide, qualcuno in deviazione, qualcuno alza il gomito di lato, molti hanno strategie delle quali non hanno alcun controllo. Segni di debolezza muscolare o perdita di movimenti possono essere segni di trauma al nervo o si possono legare al disuso. Sono due situazioni completamente distinte delle quali dobbiamo capire ogni parte se vogliamo aiutare il paziente.

Per fortuna qualche trucchetto del mestiere può aiutarci, ad esempio vesciche e piccoli tagli rivelano una scarsa sensibilità, probabilmente per una disfunzione del nervo. Le cicatrici invece rivelano chirurgie precedenti o incidenti, episodi dei quali il paziente ci deve fornire i dettagli. L’ispezione poi può rivelare anche una lesione tendinea, deformità congenite o traumatiche alle quali il paziente può averci fatto l’abitudine o può averle interpretate come “caratteristiche” che invece possono diventare la chiave per risolvere la situazione patologica contingente.

Il calore è sicuramente un segno di infiammazione acuta. La mano fredda, viceversa, è un disturbo circolatorio. Alcuni noduli e tumori, possono essere associati ad instabilità di polso, artrite o cattive interfacce acquisite.

Anche l’osservazione della mano semplicemente poggiata a riposo sul tavolo è importante perchè se le interfalangee distali sono in estensione posso già ipotizzare un Dupuytren, però, il fisioterapista, deve assicurarsi l’integrità della funzione dell’intero arto a partire dalla radice della spalla per una valutazione adeguata perchè il gomito, la spalla e tutto il resto del corpo hanno nessi profondi con l’uso della mano. C’è molta sinergia tra spalla e polso in prono-supinazione, una lesione del sovraspinato può portare a difetti di mov in prono-sup importanti. Col goniometro annoto i ROM, poi valuto sia il mov attivo che quello passivo, se antepone o meno il braccio, se flette il gomito, se inclina il tronco o se cambiano il pugno.

Infine, persone trapiantate ai reni, con vasculiti, con difetti metabolici (come ad esempio il diabete) possono compromettere la mano ed il suo aspetto, in particolar modo quello delle unghie e rivelare la quota di risultato e di aspettative realistiche.

RIEDUCAZIONE

Il segreto per una buona rieducazione è pensare sempre in modo funzionale: la mano serve per nutrirsi, l’altra per l’igiene posteriore. Semplice e basilare quanto complesso poi nel momento in cui dobbiamo personalizzare gli obiettivi a seconda della vita personale e professionale del paziente. In ogni caso, l’altro segreto da adoperare nella rieducazione della mano è quello di intervenire sempre in modo non traumatico.

La mano ha un collegamento molto rilevante con la profondità percepita (terza dimensione) e la metria dell’occhio, mano e cervello sono strettamente connessi, più di qualunque altro distretto. L’intervento sulle funzioni celebrali è indispensabile, in ciò si distingue la sensazione (percettività gnosica) dalla sensibilità (riconoscere gli oggetti a occhi chiusi).

Sempre per andare incontro alle regole e nella considerazione celebrale del distretto, ogni seduta rieducativa finisce sempre con un gesto funzionale (aprire un barattolo, allacciarsi le scarpe o altre attività che possa diventare un obiettivo valido ma raggiungibile).

Nella rieducazione, con interpretazione funzionale, è importante che si rifletta sul recupero anche delle circonduzioni e delle attività professionali: un elettricista le cose che riesce a fare sul tavolo deve esser capace di farle al soffitto (cambiare una lampadina).

La valutazione dell’estetica è molto importante perchè sono molte le situazioni in cui una mano integra non è funzionale se la ragazza nasconde la mano dentro la manica per l’imbarazzo di una cicatrice, o l’uomo le tiene in tasca per la sudorazione. Ci sono tante situazioni estremamente individuali che vanno curate anche sotto il profilo dell’interpretazione.

TERAPIA

La prima cosa da fare in una tipica situazione legata alla sofferenza della mano (in particolar modo nel post-chirurgico) è l’eliminazione dell’edema, perché sennò il tessuto diventa fibro-edematosa e, in seguito determina delle aderenze che limitano le libertà della mano.

Assumere un profilo non traumatico è indispensabile dal momento in cui la mano (ed ancor più le dita) mettono a disposizione spazi molto esigui e sottili. È il motivo per il quale non è conveniente sollecitare troppo le articolazioni o infiammare i tessuti attorno.

II trattamento delle cicatrici ha un ruolo di primaria importanza. In terapia si fa uso della vacuum, resta però primaria la mobilizzazione e lo scollamento manuale. Per la conservazione dei risultati apporvi un kinesio-tape (ovvero i nastri adesivi terapeutici), facendolo aderire molto bene e muovendo in tutte le direzioni il tratto utilizzando i due lembi sollevati agli estremi, dà un contributo importante.

Per ottenere precocità di risultati e di funzionalità è adeguato utilizzare lo splint (ovvero tutorini modellabili) che sostituisca il gesso. Il fisioterapista non dovrà mai farlo indossare se non ho la certezza del consolidamento osseo, dell’artrodesi o di qualsiasi processo riparativo in corso. Il vantaggio degli splint è che si confezionano su misura, si possono indossare 24h al giorno (per una detensione continua delle parti retratte) e si possono evolvere in stiramenti e quindi posizioni sempre più aggressive partendo da un qualsiasi livello in cui si presenti il paziente.

Il motivo per il quale il ripristino della funzionalità è così determinante nasce dal fatto che in nove giorni scompare la rappresentazione celebrale di un’articolazione immobilizzata, questo rappresenta uno stato di fatto per tutte le situazioni cliniche post-operatorie. Far muovere spontaneamente e precocemente è uno strumento importante ma spesso non è sufficiente. Sono le situazioni in cui ci si può aiutare con l’utilizzo della Mirror therapy (molto indicata nei disturbi di rimaneggiamento di schema motorio per la mano). È una progressione di rappresentazione della mano che, a partire dall’osservazione di alcune foto della mano e poi della mano sana allo specchio (come per ingannare il cervello ad intendere che si stia muovendo la mano lesa) si riesce a ripristinare la rappresentazione della mano stessa nella mappatura celebrale.

A verifica dei risultati il Joint position test può dare risposte rispetto l’esatta possibilità del paziente di utilizzare la mano intatta o lesa che sia. Lo stesso test, ovviamente diventa poi anche un esercizio in cui il paziente riproducendo le posizioni con a mano contro-laterale da bendato, riesce ad acquistare dettagli di capacità difficili da ripristinare in ambiente non protetto.

RIZOARTROSI

Si tratta della degenerazione lenta e progressiva della cartilagine articolare che riveste l’articolazione trapezio-metacarpale situata alla base del pollice. Colpisce più frequentemente le donne e compare dopo i 40 anni di età. Si manifesta con dolore nei movimenti di prensione del pollice: svitare il coperchio di un barattolo, girare una chiave o aprire un rubinetto. Con l’aggravarsi della malattia si viene a creare una incongruenza progressiva della superficie articolare, con la formazione di osteofiti. L’articolazione progressivamente si lussa e il metacarpo scivola creando una deformità alla base del pollice, dolorosa alla pressione. Si ha inoltre una riduzione del movimento di abduzione con difficoltà all’afferramento degli oggetti.

L’errore ergonomico che pruduce questo fenomeno artrosico è il prendere gli oggetti a pollice dritto. Quello su cui si deve concentrare il paziente, per rimediare è conservare, nella presa, “il cerchio” col pollice, in modo che la pinza sia “punta punta” e non coi polpastrelli.

TRATTAMENTO

Il trattamento consiste nell’utilizzo di splint che tengano il pollice in una posizione di riposo riducendo così l’attrito fra le superfici danneggiate e di conseguenza il dolore, consente quindi di svolgere le attività quotidiane con minor stress sull’articolazione o di sollevare dal contatto le ossa durante la notte. Terapia manuale può intervenire sulle rigidità, LASER, TECAR ed infiltrazioni invece riducono il dolore. Gli esercizi per rimediare alla lussazione articolare sono infiniti, ma tutti lavorano in modo che si ripristini l’equilibrio dei due distretti muscolari coinvolti in modo che quello interno non abbia la forza di spostare l’articolazione.

Quando il dolore non può essere controllato coi trattamenti conservativi ed il danno anatomico del pollice è molto grave, si può ricorrere ad un intervento chirurgico.

TUNNEL CARPALE

La Sindrome del Tunnel Carpale, è la neuropatia periferica più comune dopo quella sciatica. La clinica è caratterizzata da dolore, torpore o parestesie nella distribuzione del nervo mediano (faccia palmare del pollice, indice e medio). Molto comuni sono le parestesie notturne per la flessione o estensione prolungata del polso (durante il sonno) sotto il cuscino.

Sono diverse le cause che contribuiscono allo sviluppo della patologia. Le attività occupazionali sembrano essere però la più frequente (flessioni/estensioni del polso ripetute, prese di forza continue, tastiera del computer, strumenti vibranti). L’altra fonte di problematiche è rappresentata dalla compressione dell’origine del nervo a livello cervicale.

TRATTAMENTO

Il trattamento conservativo può includere, oltre all’utilizzo di uno splint notturno, la decompressione del nervo al livello del polso, al livello cervicale e la sua mobilizzazione in scorrimento senza produrre stiramenti (in modo da allentare le pressioni che pesano sulla sua struttura). Alcuni consigli sull’uso della mano, sulla gestione del gonfiore e sull’auto-trattamento portano a buoni risultati la maggior parte dei casi.

Il trattamento chirurgico è indicato se è presente atrofia dei muscoli tenar e perdita di sensibilità. L’intervento consiste nella liberazione del canale carpale al fine di decomprimere il nervo.

DITO A SCATTO

Le dita a scatto sono una delle cause più comuni di dolore e di disfunzione della mano. È una patologia particolarmente comune in soggetti diabetici, e in soggetti con artrite reumatoide. I fattori di rischio sono anche traumi alla mano, gravidanza, attività lavorative e sportive che comportano un notevole stress manuale con movimenti ripetitivi in flessione delle dita.

Il dito più colpito è l’anulare seguito dal pollice, medio, indice e mignolo. I pazienti spesso riferiscono uno scatto indolore nel dito, che può divenire doloroso in prossimità dell’articolazione metacarpo-falangea (MCF) con irradiazione prossimale.

TRATTAMENTO

Nella fase iniziale della malattia e comunque non oltre 6 mesi dall’insorgenza dello scatto, si può tentare il trattamento conservativo associando anti-infiammatori locali e ultrasuoni all’utilizzo di un tutore di riposo che eviti la continua sollecitazione a livello della puleggia infiammata.
Se si ricorre all’intervento chirurgico è comunque indicato l’incontro con un terapista specializzato per apprendere semplici consigli per il trattamento dell’
edema, la cura della cicatrice e il ripristino dei corretti scorrimenti tendinei. Se non trattato in modo adeguato infatti, si possono creare aderenze con perdita di estensione.

lo splint utilizzato per questa patologia prevede un’immobilizzazione della MF mentre la IFP e la IFD vengono lasciate libere di muoversi. È un tutore abbastanza comodo che consente le attività quotidiane senza troppe limitazioni.

FRATTURA DELLO SCAFOIDE

Le fratture dello scafoide interessano il carpo e che avvengono molto frequentemente. Il più comune meccanismo lesivo è una caduta su una mano tesa con e con il polso esteso.

Non sempre le fratture di scafoide composte sono evidenti subito dopo il trauma è pertanto necessario attendere un riassorbimento nella sede di frattura e ripetere le lastre circa 2-3 settimane dopo l’infortunio. Nel frattempo è bene immobilizzare il polso e il primo dito con un gesso o uno splint a spica.

Le complicanze comprendono la cattiva o mancata consolidazione che alterano la meccanica del polso e possono provocare dolore, riduzione del movimento, della forza e artrosi radiocarpica precoce. Lo scafoide è un osso con un’irrorazione precaria è pertanto a rischio di necrosi vascolare.

TRATTAMENTO

Le fratture acute composte del tubercolo o del corpo dello scafoide si possono considerare stabili pertanto si può intervenire mediante l’utilizzo di uno splint confezionato su misura (3 – 4 mesi) seguito da un programma riabilitativo per il recupero della mobilità, forza e destrezza.

Se in fase acuta è presente una frattura del polo prossimale, una scomposizione maggiore di 1,0 mm o un ritardo nella diagnosi e nel trattamento, è consigliato (a causa di una scarsa vascolarizzazione ossea), l’intervento chirurgico per prevenire un’eventuale pseudoartrosi.

DE QUERVAIN

La Sindrome di De Quervain è la tenovaginalite stenosante del 1° compartimento dorsale del polso, che contiene i tendini dell’abduttore lungo del pollice e dell’estensore breve del pollice.

 È la più frequente delle lesioni da sovraccarico che interessano il polso; compare spesso in individui che usano normalmente una presa di forza associata ad un’inclinazione ulnare del polso come ad esempio nel servizio del tennis ma anche la donna col neonato in braccio molte ore.

I sintomi tipici sono la tumefazione e il dolore sul polso nel lato radiale, esacerbato dai movimenti del pollice in abduzione e in estensione. Il dolore può irradiarsi lungo il decorso tendineo.
La manovra provocativa per la 
diagnosi di morbo di De Quervain è il test di Finkelstein, che viene eseguito infilando il pollice del paziente all’interno delle dita chiuse a pugno. Il polso viene quindi portato in deviazione ulnare mentre si stabilizza l’avambraccio.

TRATTAMENTO

Il trattamento prevede l’immobilizzazione tramite uno splint confezionato su misura il quale tiene il polso a 15-20° di estensione, il pollice a 30° di abduzione radiale e la falange libera. L’immobilizzazione viene mantenuta per 4-6 settimane a seconda della risposta del trattamento e può essere rimosso ogni ora per 5 minuti al fine di eseguire movimenti passivi per evitare retrazioni. Sono patologie in cui il LASER ottiene ottimi riscontri.

Sintomi che durano oltre le 4 settimane possono essere trattati con un’iniezione di corticosteroidi nella guina per distendere le guaine dei due tendini interessati. Una riduzione non soddisfacente dei sintomi o la loro persistenza, richiede una decompressione chirurgica.

LESIONI DEI TENDINI FLESSORI

I tendini flessori dalla loro origine alla loro inserzione, attraversano diverse aree della mano e del polso organizzate, per convenzione, in 5 zone.

• zona 1: una lesione in questa zona normalmente non provoca complicanze funzionali poiché il tendine è unico e ben vascolarizzato.

• zona 2 viene anche definita la “terra di nessuno”. È quella zona dove il flessore superficiale e il flessore profondo decorrono intimamente in un canale osteo-fibroso. Questa è la zona dove si verificano il maggior numero di insuccessi dopo le riparazioni a causa delle aderenze che si creano e che impediscono lo scorrimento tendineo.

• zona 3 i tendini sono molto vascolarizzati, lo spazio è maggiore e le complicanze funzionali, se presenti, sono ben tollerate.

• zone 4 e 5: lesioni in questa zona potrebbero portare ad aderenze tra i tendini e i tessuti circostanti o tra i tendini stessi, causando l’effetto quadriga.

TRATTAMENTO

Dopo la chirurgia, molto semplice in caso di lesione da taglio e molto problematica in caso di rottura di tipo degenerativa si apre al seguito post-chirurgico. L’immobilità è una condizione dettata dalle variabili chirurgiche. Si può però indossare un tutore in grado di concedere del movimento.

La mobilizzazione passiva non è da preferire in quanto esercita impatto tra sutura e pulegge, mentre l’attiva traziona il tendine favorendo lo scorrimento. Uno scorrimento di 3-5mm è sufficiente per limitare le aderenze tendinee. La mobilizzazione va fatta fino alla massima escursione senza dolore ogni 2 ore (se analitica, ovvero di singoli settori, produce più scorrimento). L’auspicabile mobilizzazione attiva è però riservata a chi ha una sutura forte, edema ridotto minima retrazione tendinea e articolare (pz selezionato).

LESIONE DEI TENDINI ESTENSORI

Le lesioni dei tendini estensori sono piuttosto frequenti e possono essere associate a lesioni del piano osseo. Normalmente si verificano per trauma o per lesioni da taglio. Nelle lesioni acute è bene suturare il tendine il più presto possibile, meglio se entro i primi 15 giorni dall’evento lesivo; oltre questo periodo, il tendine ed il relativo muscolo perdono elasticità (accorciamento) e bisogna eseguire interventi più complessi. Anche un comune intervento di tenorrafia (Intervento chirurgico che consiste nella sutura di due segmenti tendinei recisi) però, può portare a deficit funzionali poiché le aderenze cicatriziali dorsali, potrebbero influenzare la perfetta chiusura delle dita soprattutto nelle prese più fini. Per aiutare la guarigione tendinea è quindi fondamentale sorvegliare la cicatrizzazione e far scorrere precocemente il tendine.

TRATTAMENTO

anche per l’apparato estensore, sono state descritte delle “zone” anatomiche per poter meglio identificare una lesione tendinea.

ZONE 1-2-3: normalmente il trattamento è conservativo (se la lesione non è aperta). Per queste zone il trattamento di immobilizzazione porta a buoni risultati poiché lascia, o a monte o a valle un’articolazione libera di muoversi favorendo un minimo scorrimento tendineo.

Zona 4: in questa zona la lesione è chirurgica. Il tendine a questo livello è sottile e a stretto contatto con il piano osseo pertanto è facile che si instaurino delle aderenze.

Zona 5 e 6: Viene anche definita lesione da pugno sui denti, è una lesione aperta sopra l’articolazione MF, che si verifica con il dito in flessione. La ferita può coinvolgere l’apparato estensorio e addirittura l’articolazione.

Zona 7 e 8: in questa zona, le ferite generalmente sono profonde e vedono protagonisti sia gli estensori delle dita che gli estensori di polso. Le aderenze che si possono manifestare provocano un deficit dell’estensione simultanea di polso e dita e impediscono la flessione totale di polso.

MORBO DI DUPUYTREN

Si caratterizza dalla flessione progressiva e permanente dell’anulare (spesso anche del mignolo), con relativa difficoltà di movimento in flessione ed in estensione che, col tempo, degenera fino all’immobilità. Si manifesta con la progressiva comparsa di noduli sottocutanei inizialmente sensibili agli stimoli esterni e successivamente indolori. Viene provocata dall’irrigidimento dell’aponeurosi del palmo della mano che riveste i tendini flessori delle dita.

TRATTAMENTO

Con il solo trattamento conservativo non è possibile ottenere dei risultati. Per questo tipo di patologia, è bene intervenire chirurgicamente attraverso l’asportazione di tessuto patologico che instaura la rigidità delle dita. La riabilitazione post chirurgica, inizia dal giorno seguente l’intervento ed ha come obiettivo il mantenimento dell’apertura delle dita che il chirurgo ha ottenuto in sala operatoria. Oltre agli esercizi di rieducazione ed al trattamento della cicatrice è indispensabile confezionare uno splint che garantisca il mantenimento in estensione delle dita. Per le prime due settimane lo splint viene rimosso solo per eseguire la terapia rieducativa (ogni 2 ore con esercizi domiciliari), poi viene portato solo di notte fino ad un periodo di 6 mesi circa.

BOUTONNIERE

La lesione della bandelletta mediana dell’estensore comune delle dita a livello dell’articolazione IFP (interfalangea prossimale), provoca la caduta nel comparto flessorio della 2° falange e successivamente una iperestensione della falange distale determinando una deformità chiamata appunto boutonniere (o ad asola).

Le cause che possono provocare tale alterazione sono da ricercare in infortuni come un forte colpo a dito piegato, una lussazione della falange prossimale, un taglio sulla parte dorsale del dito o in seguito a patologie infiammatorie e degenerative come artrite reumatoide e osteoartrosi. La deformità può svilupparsi anche dopo alcune settimane dal trauma quando la diastasi tra i due monconi viene riempita da tessuto fibroso, mentre le bandellette laterali a causa della trazione dei muscoli intrinseci migrano in direzione volare determinando l’iperestensione della falange distale.

TRATTAMENTO

Nelle lesioni acute chiuse è preferibile utilizzare un trattamento conservativo caratterizzato dal confezionamento di uno splint che mantenga la falange prossimale in estensione per 6 – 8 settimane seguito da un protocollo riabilitativo mirato e individualizzato.

Nelle lesioni croniche riducibili passivamente si può tentare un trattamento conservativo mediante l’utilizzo di uno splint come per il trattamento delle lesioni acute.

SPLINT

Lo splint che più comunemente utilizziamo per questa patologia, è una sorta di stecca in termoplastica modellato su misura, che mantiene la falange prossimale in estensione. la falange distale è libera di muoversi al fine di facilitare lo scorrimento tendineo evitando il più possibile aderenze.

COLLATERALE ULNARE

La rottura del legamento collaterale ulnare (LCU) dell’articolazione metacarpo-falangea del pollice è una lesione caratteristica di alcuni sport (sci, calcio, bicicletta), in cui si ha un trauma in valgo del pollice seguito da dolore e tumefazione dal lato ulnare del pollice ma anche da insulti ripetuti come quello del manico del martello.

L’esame radiografico può confermare la diagnosi, ma soprattutto consente di valutare l’eventuale distacco di un frammento osseo alla base della falange prossimale. 

TRATTAMENTO

  Per le lacerazioni parziali del LCU il trattamento consiste nella immobilizzazione del pollice con uno splint confezionato su misura che immobilizza l’articolazione MF del 1 dito in modica adduzione per 3 settimane, seguito da un protocollo riabilitativo progressivo e mirato.

Nel caso il legamento sia completamente rotto il trattamento deve essere chirurgico e consiste nella riparazione diretta del legamento o nella sua reinserzione a livello della base della 1a falange del pollice.

DITO A COLLO DI CIGNO

È una deformità tipica delle ossa lunghe caratterizzata dall’iperestensione dell’articolazione interfalangea prossimale (IFP) e dalla flessione di quella distale (IFD).

Può essere conseguente a squilibri muscolo tendinei della mano causati ad esempio dall’artrite reumatoide, ma anche da lesioni del tendine estensore, lassità della placca volare, dito a martello non retratto, spasticità, lassità legamentosa e dalla mal-unione di una frattura a carico della seconda falange.

TRATTAMENTO

Quando è possibile, viene trattata la causa scatenante ad esempio attraverso la correzione del dito a martello o riequilibrando l’apparato tendineo o attraverso la tecnica del botulino se fosse presente spasticità.

Se la deformità è lieve e/o in fase acuta, si può attuare un trattamento conservativo che utilizza uno splint confezionato su misura atto a limitare l’iperestensione della IFP, seguito da un programma di esercizi specifici per riequilibrare il meccanismo dell’estensione e ridare la funzionalità al paziente.

Lo splint utilizzato per questa deformità prevede il modello “a 8” che consente la flessione completa del dito e impedisce la completa estensione della IFP. L’utilizzo dello splint non limita le attività quotidiane poiché è poco voluminoso e sufficientemente comodo.

DITO A MARTELLO

Il dito a martello rappresenta la maggior parte delle fratture della base della falange distale che origina da un carico assiale e la conseguente rottura dell’apparato estensore terminale con o senza frammento osseo.

La caratteristica del dito a martello è comunque la posizione in “caduta” della interfalangea distale (IFD) e l’incapacità di raddrizzarla. La lesione può avvenire per una ferita da taglio o semplicemente per un trauma chiuso per un meccanismo di flessione forzata della falange distale (tipico nel gesto del muro nella pallavolo).

TRATTAMENTO

Nelle ferite da taglio, nei casi di sublussazione volare della falange distale il trattamento è chirurgico. I traumi chiusi possono invece essere trattati conservativamente ricorrendo all’utilizzo di uno splint confezionato su misura che mantenga una leggera iperestensione della falange distale e favorire così la guarigione dell’apparato estensore. Il trattamento con splint procede per 6-8 settimane, al termine delle quali (se non esiste un deficit estensorio), si utilizza lo splint per la notte per altre 3 settimane e per ulteriori 6 settimane durante le attività sportive. In nessun momento del processo di guarigione si permette alle IFD di cadere in flessione, altrimenti il trattamento va ripreso da capo.

FRATTURA DEL QUINTO METACARPO

La frattura del collo del 5 metacarpo è molto frequente ed è stata chiamata frattura del pugile poichè il meccanismo di lesione abituale è definito da un pugno dato di striscio con il 4° e il 5 metacarpo che sono meno solidi del 2° e del 3°. L’indagine radiografica è senz’altro lo strumento più utile per indagare sulla tipologia di frattura ma occorre effettuare anche un attento esame al fine di escludere non vi siano dislocazioni palmari del frammento distale e deficit in estensione.

TRATTAMENTO

Il trattamento si basa essenzialmente sul grado di spostamento del frammento che viene misurato su una lastra in laterale.

Se non vi sono mal rotazioni, l’allineamento della frattura rimane al di sotto dei 40° e non vi sono spostamenti tardivi, si può intervenire mediante un trattamento conservativo il quale prevede uno splint in termoplastica confezionato su misura per circa 4 settimane. L’immobilizzazione deve prevedere una posizione del polso a 20°-30° di estensione, MF a 80° di flessione, IFP a 0° e IFD completamente libera per effettuare movimenti di flessione ed estensione. A 3 settimane è bene eseguire un ulteriore radiografia per scongiurare complicanze. Una volta rimosso il tutore si esegue un programma rieducativo per il recupero della mobilità e successivamente (a 6-8 settimane) della forza.

ALGODISTROFIA

È una patologia che esordisce con dolore ingiustificato e che si può manifestare senza cause specifiche o dopo traumi minori o quale conseguenza ad interventi non traumatizzanti ed abituali. Spesso è scatenata da un gesso troppo stretto, da posture scorrette che durante il periodo di immobilizzazione favoriscono l’edema, da un forte dolore in occasione della riduzione di una frattura, ma anche da una fisioterapia violenta e dolorosa.

Le manifestazioni cliniche possono essere varie e in varie fasi.

La fase iniziale o primo stadio dura circa tre-sei mesi ed è caratterizzata da dolore e tumefazione, notevole difficoltà a muoversi, edema sottocutaneo, associati ad alterazioni del trofismo cutaneo e degli annessi e a segni di instabilità vasomotoria (pallore, eritrosi, sub-cianosi).

Nel secondo stadio le manifestazioni sopra descritte regrediscono e appaiono alterazioni distrofiche. La cute perde elasticità, la muscolatura si contrae e compare anche ipotrofia muscolare. Nel terzo stadio compare atrofia irreversibile e in questa fase non si osserva più alcun beneficio terapeutico.

TRATTAMENTO

La terapia è medica e fisica e deve combattere il dolore, l’evoluzione della malattia, l’osteoporosi localizzata (per evitare fratture locali), la rigidità articolare e le retrazioni tendinee. Mantenere l’articolarità è il primo obiettivo perché il paziente a causa del dolore e del gonfiore manifesta dei problemi di mobilità, soprattutto nel primo stadio della malattia. Tale articolarità viene mantenuta con mobilizzazioni attive e passive senza oltrepassare la soglia del dolore al fine di evitare l’instaurarsi di un circolo vizioso. L’idrokinesiterapia con acqua tiepida e l’uso della paraffino-terapia, sono strumenti molto validi per intraprendere un approccio rieducativo individualizzato al fine di attivare la circolazione sanguigna e linfatica e di recuperare l’articolarità. Un altro metodo del quale ci si può avvalere è l’utilizzo di un bendaggio adesivo elastico (tape neuromuscolare) al fine di stimolare il sistema linfatico così da riassorbire edemi e gonfiori.

CONCLUSIONI

Come emerge da questo lungo testo orientativo, la mano è un apparato tanto affascinante quanto delicato. Sono tante le problematiche nelle quali può incorrere ed è, ormai da decenni, indispensabile che le terapie vengano somministrate da medici e fisioterapisti dedicati e continuamente aggiornati rispetto la disciplina che riguarda questo compresso settore.

Nei casi più impegnativi, poi però, l’aspettativa è che entri in gioco un terzo esperto, ovvero il paziente stesso. Sono tante le situazioni in cui è necessario ripetere la terapia più volte al giorno (anche ogni ora). Sono tante le situazioni in cui l’immobilità per lungo tempo può venir rimediata dalla determinazione, motivazione e serietà del paziente stesso.

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