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Mandibola

APPROCCIO INTERDISCIPLINARE

Molto spesso il dentista o l’ortodonzista trovano, a ridosso del lavoro che stanno eseguendo nell’apparato stomatognatico del paziente, una situazione molto complessa,  ritrovandosi a gestire una masticazione alterata, scosci mandibolari, emisomi più sviluppati o problemi muscolo-scheletrici a carico della bocca. Tra questi ultimi problemi frequentemente si riscontrano disfunzioni cervicali di vario tipo.

Le strette relazioni tra masticazione ed altre parti anatomiche come la cervicale è un argomento tanto vasto ed importante quanto quello dei problemi muscolo-scheletrici della bocca stessa (articolazione temporo-mandibolare e muscolatura annessa). Andremo ora a descrivere attraverso delle considerazioni scientifiche entrambi i temi.

I problemi della masticazione possono nascere direttamente da un dismorfismo dentale che altera la simmetria delle arcate o, indirettamente, da problematiche legate alla dinamica dell’articolazione temporo-mandibolare.

Gli scrosci mandibolari sono un elemento che riguarda spesso le donne o persone con una formazione immatura dell’angolo della mandibola. Il rumore che avvertono deriva dalla lussazione o sub-lussazione del disco articolare compreso nell’articolazione temporo-mandibolare (da ora ATM).

Come in altre articolazioni (vedi spalla, rachide, anca ecc…) la muscolatura che mobilizza l’ATM si può distinguere in muscolatura che mobilizza e muscolatura che stabilizza. Proponendo un parallelismo per esempio con la spalla, se il deltoide, trapezio, pettorale, gran dentato ecc… mobilizzano l’articolazione gleno-omerale, sarà compito esclusivo dei muscoli della cuffia dei rotatori (sopraspinato, sottospinato ecc…) quello di centrare in tempo reale durante tutta l’escursione articolare omero e glena, in modo che non si affrontino producendo impingment. Allo stesso modo l’ATM  è mobilizzata dal muscolo temporale e dal massetere mentre viene stabilizzata dai muscoli pterigoidei interni ed esterni (che risultano perpendicolari ai mobilizzatori). Questi muscoli, meglio che in qualsiasi altra articolazione, devono lavorare in coppia ed in modo pari tra i due emisomi (oltre a relazionarsi con esattezza ad altri muscoli come il digastrico, il platisma ecc…).

Le alterazioni delle relazioni dinamiche o statiche >(rilascio di un muscolo durante l’attività dell’altro o semplicemente il loro tono di base) spesso sono palpabili attraverso indagine intra ed extra-buccale e riconoscibili come consistenza rigida e difficilmente estensibile.

FISIOLOGIA

proviamo a spiegarlo con altre parole: nell’articolazione temporo-mandibolare il rapporto tra muscoli stabilizzatori e muscoli mobilizzatori è di fondamentale importanza. Non è semplice condividere con il paziente questo tipo di ragionamento e, quando ci si trova effettivamente di fronte ad un problema di “coordinazione” muscolare, è molto complicato ottenere la complicità del paziente.

Quando pensiamo ad un basculante è molto facile distinguere tra il motore che lo solleva e le guide che lo tengono nel percorso, sono due cose molto differenti. Nel comparto articolare invece il famoso “form close” ovvero la forme articolare, fasciale e capsulare che tengono in sede le parti della struttura non sono sempre sufficienti a conservare la relazione tra le due ossa che si muovono. La congruità deve essere garantita dal “force close” ovvero dalle strutture muscolari che si prestano affinchè il centro di rotazione di un osso continui a relazionarsi con quello dell’osso col quale si articola. Questa volta, quindi, motore e guida hanno lo stesso aspetto e rispondono entrambi alle caratteristiche del muscolo.

Distinguere i muscoli che mobilizzano da quelli che stabilizzano, in realtà, non è troppo difficile. I primi sono più superficiali (generalmente palpabili) e molto voluminosi; i secondi invece hanno le fibre addossate all’articolazione (qualche volta scambiano rapporti intimi se non addirittura condivisione di fibre) e spesso sono piccoli e difficilmente palpabili. L’attività dei mobilizzatori è occasionale (fasica) mentre quella degli stabilizzatori è perpetua (tonica). Senza i primi non ci si muove, senza gli altri si cade a terra.

Nel caso dell’articolazione temporo-mandibolare una cattiva sequenza di movimento ed una cattiva distribuzione di forze tra mobilizzatori e stabilizzatori porta a “scontri articolari”, scrosci, dolori o, più in generale a sovraccarichi e lesioni del disco articolare. Questi sono i famosi sintomi soggettivi, poi però possono comparire anche le problematiche funzionali come ad esempio difficoltà ad addentare qualcosa di duro o gommoso, parlare a lungo, aprire molto la bocca ecc… cose del tutto ordinarie della giornata di ognuno di noi.

COME CAPIRE SE C’È QUALCOSA CHE NON VA?

Semplice: è sufficiente osservare l’apertura della bocca (limitata o deviata o con scarti di lato); la competenza a portare da un lato all’altro la mandibola o di fare un certo movimento ad arco da una parte all’altra. Rimediare a ciò non è sempre semplicissimo, molte volte bisogna intervenire manualmente sul disco attraverso la trazione o la traslazione. Esistono delle auto-mobilizzazioni, da poter fare a casa, da integrare in un secondo momento con esercizi che rendano nuovamente  abili i muscoli nel loro compito di stabilizzazione (muscoli dal nome complicato che ricordano dei dinosauri: gli pterigoidei).

L’equilibrio tra muscoli stabilizzatori e mobilizzatori è un lavoro molto comune da condurre. Più complicato sarebbe dover mettere in ordine le relazioni con i muscoli sottoioidei e la catena cervicale, ma sono interventi riabilitativi che molto spesso si riescono ad evitare.

Due cose dobbiamo tenere in considerazione ogni volta che si intraprende la valutazione o la cura di una disfunzione mandibolare: la prima è che ognuno ha un certo livello di individualità da rispettare; la seconda è che nasciamo, ci sviluppiamo, diventiamo adulti e poi anziani con angoli mandibolari completamente diversi tra loro.

Se teniamo ben presente questi due riferimenti allora saremo in grado di portare rispetto per la capacità innata che il nostro corpo ha di funzionare, compensare e risolvere situazioni molto diverse tra loro. Se è vero che non si diventa anziani in un giorno (ovvero verticalizzazione della mandibola) questo non é sempre vero per la donna che entra in menopausa; se un forte prognatismo (mento proiettato fortemente in avanti corrispondente ad un classe III) ha trovato ottime soluzione per funzionare, non è detto che questo riesca a funzionare per tutta la vita, possono nascere degli intoppi.

CORTO CIRCUITO

A complicare un po’ le cose esiste un fenomeno neuro-fisiologico per il quale molte delle afferenze provenienti dalle prime tre vertebre cervicali, dal trigemino (e quindi anche dal ramo mandibolare), dalla testa e altre parti limitrofe convogliano tutte alla stessa sintesi e di conseguenza per il nostro cervello non è sempre facile distinguerne la provenienza. E’ un po’ come se ognuno di questi distretti portasse alla stessa rotonda e tutti uscissero alla stessa uscita, non è raro, in questa situazione che una problematica di un distretto venga percepita come proveniente da un altro e produca, in questo, degli effetti di risposta (sintomi). In ciò esistono dei meccanismi tipici che molti di noi hanno avuto modo di sperimentare, come ad esempio guardare la luce del sole (stimolo visivo) produce un effetto al naso (starnuto), oppure un problema cervicale si avverte nettamente come un mal di testa mal localizzabile.

SCROSCI

L’esame delle problematiche dell’ATM passa attraverso una serie di osservazioni importanti.

Attenzione particolare va data alla presenza di SCROSCI e la distinzione della loro origine per un contatto, una sub-lussazione o una lussazione.

Bisogna innanzitutto capire se il movimento è alterato a causa dell’attività di nocicettori (se è presente un sintomo doloroso) inerenti le parti in diretto collegamento che inibiscono i muscoli stabilizzatori.

Altre volte ai test manuali è facile rilevare aderenze o restrizioni della capsula dell’ATM, dei suoi legamenti o del nervo mandibolare che la raggiunge.

In alcune situazioni è possibile supporre la presenza di lesioni cartilaginee del disco o dei capi ossei che compongono l’ATM ricordando la relativa fragilità dell’osso temporale che nel punto in cui si confronta con la testa della mascella è spesso solamente un millimetro.

MANDIBOLA A SCATTO

Questa particolare condizione è legata generalmente ad un funzionamento scorretto del disco o del menisco temporo- mandibolare

MANDIBOLA CON CLICK

Generalmente tali condizioni colpiscono le donne con un rapporto di 8 a 1 rispetto agli uomini. Durante il movimento si avverte un rumore simile ad un click subito sotto l’orecchio, proprio in prossimità dell’ATM. Tale condizione è legata ad artrosi o il più delle volte ad una condizione simile a quella precedente, in cui il disco è dislocato. Grazie ad alcune manovre, che vanno eseguite da fisioterapisti esperti, sarà possibile lavorare direttamente sulla causa del click articolare e cercare di ridurlo, fino a farlo scomparire completamente. Sarà necessaria una partecipazione attiva del paziente mediante esercizi a casa, cercare di ridurre lo stress e soprattutto abitudini alimentari che possono mettere sotto eccessiva tensione le strutture anatomiche e muscolari.

BRUXISMO

Il bruxismo consiste nel digrignamento dei denti facendoli stridere, dovuto alla contrazione della muscolatura masticatoria, soprattutto durante il sonno. Generalmente viene considerato come una parafunzione, ovvero un movimento non finalizzato a uno scopo.

In alcuni casi si è notata una predisposizione familiare, talvolta si è fatto riferimento a malformazioni mandibolari, a problemi d’occlusione dentari, a stati psicopatologici alterati (tensione emotiva, stress, aggressività) o ad alterazioni del sistema extrapiramidale da ricondurre al Parkinsonismo.

Generalmente al risveglio la persona non avverte nessun disturbo, tranne nei casi di bruxismo intenso, in cui si può avvertire una sensazione dolorosa alle mascelle o più correttamente all’articolazione temporo-mandibolare, che può indurre alla sindrome di Costen (con il caratteristico dolore all’orecchio). Il digrignamento, però, può creare dei danni a causa dell’usura della superficie masticatoria dei denti, sia dell’arcata superiore sia di quella inferiore e questa condizione, il più delle volte, viene notata dal dentista. Si può anche avere difficoltà ad aprire la bocca completamente o notare un aumento della sensibilità dei denti al caldo o al freddo. La dolorabilità dell’articolazione temporo-mandibolare, se continuativa, può produrre comparsa di cefalea o arrivare alla disfunzione articolare vera e propria.

Terapie vere e proprie non hanno riscontrato risultati significativi, l’unica raccomandazione è quella di indossare un bite la notte in modo da non sacrificare i denti e quindi la dimensione verticale delle arcate.

CLASSI

Infine è molto utile sovrapporre i risultati dell’esame fisioterapico con l’appartenenza  alla I, IIa IIb o III classe, i pre-contatti dentali (che offrono una ampia leva contro-laterale all’ATM) le morfologie del viso, i rapporti mio-fasciali ed ossei con ossa craniche (con dimorfismi dell’evoluzione e suoi adattamenti) e vertebre cervicali. Ricordiamoci che quest’ultime sono importanti da tenere in considerazione perchè le aree di proiezione del dolore cervicale, cranico e mandibolare possono risultare sovrapponibili

Spesso la classe di appartenenza ci offre dei parametri per relazionare la bocca in esame con la postura e le sue modifiche dopo il trattamento.

LO STUDIO DELL’APERTURA DELLA BOCCA

E’ importante per verificare la discesa centrata della mandibola, eventuali deviazioni ma anche per verificare l’ampiezza di apertura fisiologica (almeno tre dita). E’ interessante inoltre distinguere se il paziente per ottenere l’apertura utilizza esclusivamente la mandibola o se richiede un’estensione cervicale, se è rispettato il regolare “timing”, ossia la corretta consequenzialità tra lo scivolamento della testa della mandibola ed il suo spostamento caudale, o i tempi di movimento in relazione all’articolazione controlaterale o ancor più importante in relazione agli inevitabile controlli cervicali.

Alcune volte invece le difficoltà intrinseche dell’apparato stomatognatico o più in particolare dell’ATM hanno stretta relazione o addirittura origine da limitazioni o disfunzioni del cingolo scapolare, cervicale o delle ossa craniche. Questi distretti facilmente sono in grado di mettere in difficoltà l’ATM tramite tensioni fasciali patologiche.

La terapia in questi casi è di interesse specifico per l’origine dei problemi attraverso la risoluzione delle tensioni fasciali o la mobilizzazione o manipolazione dei tratti interessati. In particolar modo spesso trova ottimi risultati la mobilizzazione sfeno-temporale e sfeno-occipitale.

PERCHÉ TANTA IMPORTANZA AL TEMA CHE STA ATTORNO ALL’ATM?

Le considerazioni sono tante e vanno dall’atipicità di un’articolazione sospesa e bilaterale al fatto che biologicamente è tra gli apparati più antichi nell’evoluzione.

Queste caratteristiche gli permettono di avvertire attraverso la capsula (l’unica tra tutte le articolazioni ad essere tesa in zone differenti ad ogni grado di movimento) lo spessore di un capello posizionato tra qualsiasi dente. Questo è possibile anche in base al fatto che la bocca occupa i 2/5 dell’homunculus cerebrale (la parte del nostro cervello deputata a mappare il nostro corpo permettendoci di sentire se e dove ci toccano anche senza utilizzare la vista).  

PRECONTATTI

Questo è rappresentativo per quello che in gergo chiamiamo MOLAGGIO SELETTIVO, ovvero quella fine limatura che il dentista opera per modificare i contatti (o pre-contatti) dentali.

A giustificare il miglioramento o meno dell’abduzione dell’anca con o senza l’uso dello spessore diagnostico tra i denti non vi è nessun collegamento anatomo-funzionale ma probabilmente l’enorme connessione all’interno dell’homunculus tra le parti che interessano la bocca ed il resto del corpo che portano ad una rielaborazione percettiva superiore.

Risulta indiscutibilmente difficile proporre un trattamento ATM per un problema alle ginocchia, schiena o quant’altro ma le considerazioni precedenti restano interessanti.

Questo delicatissimo sistema può venir offeso da accidenti diretti, tra i quali comprendiamo quelli traumatici, quindi acuti, ma anche quelli dovuti alla masticazione scorretta, quindi cronici. Il sistema ATM però può venir danneggiato anche da accidenti indiretti come il frequente colpo di frusta. Questo, modificando le tensioni cervicali e la rettilinizzazione del tratto stesso (soprattutto se impari), modifica l’orizzontalità e la protrusione delle ATM, a volte in modo asintomatico, altre volte con dolori e scrosci di una certa entità.

 

E’ importante ricordare che nella complessità dei rapporti funzionali l’ATM, oltre che nella masticazione, è utilizzata nel mantenimento della postura. In particolar modo il suo reclutamento si esprime nel gesto sportivo (quando facciamo uno sforzo “stringiamo i denti”) producendo tensione e mettendo in comunicazione diverse catene muscolari. Questo evidente utilizzo della muscolatura masticatoria durante l’esecuzione sportiva è facilmente riscontrabile in molte patologie neurologiche ove il sistema di equilibrio ed organizzazione posturale viene disturbato portando allo “scoperto” i suoi sistemi più fini di acquisizione di informazioni posturali, di relativi aggiustamenti o semplici “appoggi” fasciali.

COME POSSIAMO AIUTARE UN PAZIENTE CON DISFUNZIONE DELL’ATM?

Ci sono due tipi di terapie a riguardo: quella strutturale e quella mio-fasciale.

La prima riguarda modifiche anatomiche dell’apparato stomatognatico con approccio non conservativo come l’eliminazione di un dente, l’allineamento dei contatti ed altri interventi di pertinenza dentistica. Diversamente il dentista può proporre l’utilizzo di un bite, apparecchi dentati o quant’altro nell’ambito delle tecniche conservative.

 

Il fisioterapista invece può intervenire con l’utilizzo della manipolazione o mobilizzazione dei tessuti intrinseci ed estrinseci dell’ATM riuscendo a modificare la posizione del disco ma anche i rapporti dei capi ossei e le loro reciproche tensioni.

Importante anche l’approccio mio-fasciale, atto a rieducare l’uso della masticazione o più in particolare dei movimenti corretti dell’ATM.

Nel progetto di riabilitazione può essere richiesto al paziente spostamenti in protrusione e retrazione, lateralità o imprimere ed utilizzare la stabilità offerta dalla lingua contro il palato duro per ottimizzare il movimento mandibolare e stabilizzare il tratto.

E’ utile inoltre addestrare e verificare il movimento dell’ATM durante la masticazione ed i suoi rapporti con il movimento cervicale o più in generale con la postura.

 

Esecuzioni che sembrano estremamente semplici in fisiologia possono risultare impossibili in patologia, per questo bisogna rieducare le disfunzioni al movimento corretto in modo che le forze non imprimano sulle parti inerti della bocca o del tratto cervicale dei danni strutturali o degli schemi di movimento significativamente dannosi.

Conoscere ed utilizzare le enormi possibilità che offre un lavoro interdisciplinare porta a degli innegabili vantaggi professionali ma soprattutto offre le soluzioni più opportune per il paziente.

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