Fratture ossee
Per frattura si intende una soluzione di continuità della struttura ossea. Le fratture sono un evento lesivo piuttosto comune. Culturalmente associate al danno temporaneo per antonomasia nei film come nei cartoni animati, effettivamente nella maggioranza dei casi (soprattutto nei giovani) guariscono spontaneamente con un mese di gesso.
I rimanenti casi vengono stabilizzati chirurgicamente con una prognosi quasi sempre molto vicina al 100%. L’esame di riferimento è la radiografia tradizionale solo raramente seguita dalla TAC.
La terapia oltre ad imporre l’immobilità può aiutare la formazione del callo osseo tramite la magnetoterapia e l’assunzione di vitamina D.
L’aspetto radiografico dopo un mese dall’evento può ingannare il paziente che riconosce nella sede della frattura la permanenza di una linea ed un addensamento anomalo. Il fatto che le cartilagini, primo materiale riparativo dell’osso, sono radio-trasparenti inganna i più. Se i monconi della frattura sono ancora allineati ad un mese dalla frattura vuol dire che la linea che si riconosce è colma di materiale cartilagineo e l’addensamento osseo che si riconosce è il sano callo osseo che porta materiale ripartivo. Rimangono comunque per alcuni mesi dei territori sensibili che meritano alcune attenzioni.
IL ruolo della fisioterapia (FT) in questi quadri è ovviamente legato al tipo ed alla localizzazione della frattura.
Nel caso in cui la terapia fosse stata il gesso la riabilitazione deve monitorare:
- Il volume muscolare: (importante per dare sostegno e vascolarizzazione al callo osseo)
- La capacità funzionale: ossia il controllo che il paziente ha dell’arto in guarigione
- L’escursione articolare: in particolar modo in casi come il ginocchio il paziente non può permettersi di perdere neanche 5° di estensione
- Vizi posturali: contratture, dolori residue, tensioni e limitazioni articolari possono portare a zoppia o compensi di vario tipo che degenerano precocemente i tessuti e portano a sovraccarichi di non sempre facile soluzione (prevenzione dei danni secondari e terziari).
Nel caso in cui, invece, si fosse stabilizzata chirurgicamente la frattura la fisioterapia viene chiamata immediatamente per la mobilizzazione delle cicatrici, la soluzione delle contratture protettive, la mobilizzazione precoce e, più importante di tutti, in casi di fratture agli arti inferiori negli anziani, la ripresa della deambulazione precoce per evitare il probabile allettamento con rischio di piaghe da decubito e decondizionamento irreversibile.
CLASSIFICAZIONE DELLE FRATTURE
La frattura può essere di origine traumatica o spontanea ( patologica).
Nel caso in cui vi sia un trauma, questo può essere diretto, cioè un osso può fratturarsi nel punto in cui vengono applicate forze di entità tale da superare i limiti di resistenza dell’osso stesso; oppure può essere indiretto, in cui forze ( di torsione, di flessione, di compressione, di strappamento ) applicate ad una leva scheletrica possono determinare frattura ad una certa distanza dal punto della loro applicazione.
Vi sono fratture da fatica ( o da stress ) determinate da ripetuti stress e sollecitazioni esercitati sull’osso ( tipico esempio è la frattura da marcia o dei marciatori che interessa il secondo metatarso ).
La frattura spontanea o patologica si instaura su un osso morfologicamente anormale o interessato da un processo patologico che ne determina una minore resistenza; perciò forze di lieve entità o irrisorie possono causare una frattura.
In base all’integrità o meno del tegumento cutaneo vi sono fratture chiuse, in cui la cute rimane integra, e fratture esposte , in cui vi è lacerazione delle parti molli e quindi esposizione esterna dell’osso; tutte le fratture esposte sono ad elevato rischio di infezione.
La frattura può essere completa, in cui vi è interessamento a tutto spessore dell’osso da parte della rima di frattura, o può essere incompleta e presentare quindi una semplice infrazione dell’osso.
Vi è un tipo di frattura caratteristico nei bambini in cui l’osso sottoposto a flessione si interrompe nella zona di maggiore convessità mantenendo però integro il periostio nella zona concava (frattura a legno verde ).
La rima di frattura può essere unica o multipla se l’interruzione ossea determina due frammenti o più frammenti (frattura pluriframmentaria).
In base al decorso della rima di frattura si distinguono:
a) fratture trasversali: la rima di frattura è disposta ad angolo retto rispetto all’asse longitudinale dell’osso b) fratture oblique: la rima di frattura forma un angolo inferiore a 90ø rispetto all’asse longitudinale dell’osso (fratture a becco di clarino)
c) fratture spiroidi: la rima di frattura compie un decorso a spirale lungo il segmento osseo
d) fratture longitudinali: la rima di frattura è parallela all’asse longitudinale dell’osso
e) fratture complesse: si hanno due rime di frattura
f) fratture comminute: si hanno più rime di frattura per presenza di più frammenti.
In rapporto all’eventuale spostamento dei segmenti fratturati si distinguono fratture composte, in cui i segmenti di frattura hanno conservato la loro posizione anatomica, e fratture scomposte in cui si è verificato uno spostamento dei frammenti che può avvenire in varie direzioni.
Vi sono inoltre le fratture ingranate in cui un frammento si inserisce nell’altro; queste interessano solitamente l’osso spugnoso.
Le fratture da schiacciamento avvengono per eccessiva compressione (es. compressione dei corpi vertebrali).
Nella frattura doppia o segmentaria l’osso è fratturato a due diversi livelli; nella frattura multipolare l’osso è interrotto a più livelli.
Caratteristiche sono le fratture da avulsione provocate cioè da un’improvvisa contrazione muscolare che determina un distacco osseo a livello inserzionale del muscolo stesso (es. Base quinto metatarso – m. peroneo breve; tuberosità tibiale e polo superiore della rotula – m. quadricipite; piccolo trocantere – m. ileo psoas).
Si ha frattura articolare quando vi è interessamento della rima di frattura a livello articolare.
Una frattura è stabile quando non subentrano forze deformanti (es. forze muscolari) che impediscono il contatto reciproco e l’immobilità dei frammenti ossei; altrimenti si avrà una frattura instabile.
Il quadro clinico per la diagnosi di frattura, oltre ai dati anamnestici riguardanti il tipo, la violenza del trauma e la sua sede di applicazione, comprende SEGNI DI CERTEZZA e SEGNI DI PROBABILITA’.Ii primi consistono nella deformità del segmento scheletrico (accorciamento, rotazione, angolazione), nella motilità preternaturale per discontinuità dei segmenti ossei, nello scroscio o crepitazione per sfregamento reciproco delle superfici fratturate.
I segni di probabilità consistono nel dolore a livello del focolaio di frattura, nella tumefazione e nell’ecchimosi del distretto interessato, nell’impotenza funzionale e nell’atteggiamento caratteristico di difesa o di riposo dell’arto traumatizzato.
Alla diagnosi clinica va sempre affiancata una diagnosi strumentale per una conferma dei segni di certezza con un’indagine radiografica nelle due proiezioni ortogonali.
- DISTACCHI EPIFISARI
Per distacco epifisario si intende una separazione traumatica del nucleo epifisario dalla sua sede metafisaria di impianto; interessa esclusivamente soggetti in età infantile e adolescenziale perchè a livello metafisario presentano la cartilagine di coniugazione che rappresenta una zona di minore resistenza alle forze traumatiche indirette.
Se tempestivamente trattati, mediante riduzione e immobilizzazione con tutori gessati, i distacchi epifisari guariscono senza esiti.
Le principali localizzazioni si hanno a livello dell’epifisi distale del radio, del capitello radiale, del condilo omerale esterno, dell’epitroclea, dell’epifisi prossimale dell’omero, dell’epifisi distale della tibia, dell’epifisi prossimale della tibia e dell’epifisi distale del femore. - FRATTURE – LUSSAZIONI
Si ha frattura-lussazione quando vi è lussazione di una articolazione associata alla frattura di uno dei componenti ossei dell’articolazione. Tipiche sono le lussazioni d’anca con frattura della parete cotiloidea e le fratture del collo anatomico o del collo chirurgico dell’omero con lussazione della testa; il trattamento è essenzialmente cruento e prevede la sintesi ossea previa la riduzione della lussazione. Le complicanze più frequenti consistono nelle lesioni nervose, nella rigidità e nella necrosi avascolare.
SEDI DI LESIONE
FRATTURE DELL’ARTO SUPERIORE
Clavicola
Frequenti a qualsiasi età, per lo più da trauma indiretto (caduta sul moncone della spalla).
La linea di frattura si trova solitamente a livello del terzo medio. Nei bambini è più frequente la forma “a legno verde”, mentre negli adulti la forma completa con spostamento interframmentario tipico (spostamento del frammento mediale in alto e indietro per azione del muscolo sternocleidomastoideo, frammento laterale in basso per il peso dell’arto e l’azione del deltoide).
L’arto si presenta in atteggiamento di difesa: addossato al tronco, con gomito flesso e sostenuto dall’arto sano; capo deviato dal lato leso per la tensione a livello dello sternocleidomastoideo; c’è dolore spontaneo che si accentua con la palpazione a livello del focolaio di frattura; nelle forme complete c’è anche mobilità innaturale e deformazione.
Nei neonati e nei bambini piccoli è sufficiente un bendaggio alla Desault (che mantiene la spalla iperestesia all’indietro e impedisce l’accavallamento dei frammenti di frattura), poiché il callo osseo viene prontamente riassorbito e non residuano deformità.
Negli adulti, soprattutto se la frattura è scomposta e irriducibile, con pericolo di danno vascolo-nervoso o esposizione del frammento, si ricorre all’osteosintesi con chiodo di Rush.
Fratture del collo chirurgico dell’omero
Colpiscono per lo più anziani con osteoporosi senile, verificandosi di solito per traumatismo indiretto (caduta sulla mano o sul gomito). Nelle forme scomposte il quadro è variabile da una lieve angolazione, alla penetrazione “telescopica” di una frammento dentro la spongiosa dell’altro fino alla dislocazione marcate del frammento distale in direzione ascellare (mediale). Nel caso si associ anche una concomitante lussazione della testa omerale, questa domina il quadro clinico e condiziona da sola la prognosi e la terapia.
L’arto si presenta in atteggiamento di difesa; nelle fratture con dislocazione può essere presente una deformità “a colpo d’ascia” a livello del terzo superiore del braccio, tumefazione della spalla ed ecchimosi brachio-toracico).
Il paziente lamenta dolore acuto accompagnato da impotenza funzionale e talvolta da sensazione soggettiva di “scroscio”.
Va indagata attentamente l’eventuale concomitanza di una lussazione scapolo-omerale, che richiede un trattamento d’urgenza.
Le complicanze più frequenti sono consolidamenti anomali è rigidità scapolo-omerale, mentre la pseudoartrosi non si osserva quasi mai, nemmeno negli anziani osteopenici.
In assenza di spostamento dei frammenti è sufficiente l’applicazione di un bendaggio alla Desault o di un tutore per 20-25 giorni, poi graduale fisioterapia.
Se lo spostamento è presente e accentuato si riduce la frattura mediante trazione trans-olecranica e immobilizzazione in posizione toraco-metacarpale per 30 gg; l’osteosintesi con chiodi midollari si può effettuare per diminuire i tempi di immobilizzazione.
Negli anziani si può applicare un “gesso pendente”.
Fratture della diafisi omerale
Sono le più frequenti in età adulta e si procurano per traumi di solito diretti; la rima di frattura è frequentemente trasversale o leggermente obliqua. La complicazione più temibile è la lesione del nervo radiale: immediata, favorita dal rapporto stretto del nervo con la faccia posteriore e laterale dell’omero. Meno frequente è la sezione (sub)totale. Si manifesta con la “mano cadente” (per un deficit degli estensori prossimali del carpo), deficit di abduzione del pollice e anestesia del lato esterno del dorso della mano.
Frattura di Colles
Questo tipo di f. ha una notevolissima frequenza e rende le f. del polso le più frequenti in assoluto.
Il meccanismo è indiretto (solita caduta sul palmo della mano in estensione) è la rima di f. è localizzata a livello della metafisi distale del radio.
Il tipo di spostamento condiziona la clinica che comprende, oltre naturalmente ai segni generici di frattura (tranne la crepitazione e la mobilità preternaturale) sono frequenti consolidamenti viziosi e osteoporosi post-traumatica delle ossa del carpo e della mano che, oltre al danno estetico, porta anche a un deficit funzionale della flessione della mano.
Il trattamento è incruento: in narcosi si effettua la riduzione dei frammenti applicando una trazione al pollice e una controtrazione al braccio. Si mette un brachio metacarpale con mano in posizione ulnarizzata, per 20 gg, sostituendolo poi con un semplice antibrachio-metacarpale, per evitare la rigidità del gomito.
Frattura dello scafoide
Al contrario delle altre ossa del carpo, lo scafoide si frattura con relativa facilità in seguito a caduta sulla mano o sul pugno chiuso.
Presente dolore sordo, spontaneo e accentuato dalla digitopressione a livello della tabacchiera anatomica e dalle sollecitazioni assiali sul I metacarpo.
La diagnosi è comunque radiografica.
Avendo lo scafoide una vascolarizzazione di tipo terminale, vi sono 2 complicanze tardive possibili: la pseudoartrosi e la necrosi ischemica del frammento prossimale.
Nelle f. scomposte e in quelle del frammento prossimale può essere indicata l’osteosintesi.
Fratture dei metacarpi e delle falangi distali
Molto frequenti per lo più da traumi diretti sul lavoro, che comportano f. multiple con interessamento dei tendini, delle capsule articolari e dei tegumenti. Spesso è presente scomposizione, difficilmente riducibile data la brevità del frammento.
Le dita vengono inglobate per 20 giorni in tutore gessato, in atteggiamento di semiflessione (in estensione c’è rischio di sviluppare rigidità). Intervento cruento di riduzione e sintesi in caso di f. instabili o irriducibili.
FRATTURE DELL’ARTO INFERIORE
F. dell’estremo superiore del femore
Colpiscono soprattutto gli anziani in seguito a traumi anche di lieve entità occorsi durante una banale caduta.
Il principale fattore di rischio è infatti l’osteopenia osteoporotica (post-menopausale e senile).
L’osteoporosi infatti coinvolge elettivamente l’osso spugnoso, quale è appunto la testa del femore, diminuendo il numero e lo spessore delle trabecole di rinforzo orientate in 3 fasci (sistema cefalico, trocanterico e arciforme) in direzione delle principali linee di forza.
Queste f. si classificano in base ai rapporti intercorrenti tra la rima di frattura e l’inserzione femorale della capsula dell’articolazione dell’anca.
Il tipo di vascolarizzazione condiziona la diversa prognosi tra f. mediali e laterali: nelle f. mediali se si adotta il trattamento incruento, è necessario un periodo di immobilizzazione più prolungato, che è alquanto deleterio nell’anziano.
Complicanze generali sono broncopolmoniti da ipostasi e ipoventilazione alveolare, ulcere da decubito (soprattutto pre-sacrali), cistiti, trombosi(TVP), favorite dall’allettamento prolungato: queste possono condurre anche all’exitus un paziente anziano.
La complicanza locale (per lo più tardiva) è invece la necrosi asettica della testa del femore: ha origine vascolare ed è tanto più frequente quanto più la f. è mediale (es. f. sottocapitata); esordio insidioso con dolore persistente all’anca anche dopo l’avvenuto consolidamento; all’Rx sono distinguibili zone di addensamento della spongiosa per necrosi e collasso trabecolare.
Trattamento
Nelle f. mediali è imperativo ricorrere all’osteosintesi cruenta o all’impianto di protesi, il prima possibile!
L’osteosintesi è indicata in pazienti più giovani con scarsa scomposizione dei frammenti e si attua con viti endomidollari: il paziente può spostarsi con le stampelle dopo pochi gg ma il carico non è concesso prima dei 3 mesi dall’intervento (può diminuire la vascolarizzazione della testa del femore).
La protesizzazione è indicata nelle f. con rima molto mediale, in cui la necrosi della testa del femore rappresenta una complicanza prevedibile: l’endoprotesi consiste nell’asportazione della testa e di gran parte del collo e nella loro sostituzione con una protesi infissa nel canale midollare della diafisi: la porzione cefalica comprende 2 componenti in grado di articolarsi fra loro al fine di diminuire le sollecitazioni sull’acetabolo.
L’artroprotesi (→cfr: coxartrosi) è indicata nei pazienti non molto anziani in buone condizioni generali in assenza di graves scomposizione dei frammenti.
Nelle f. laterali l’indicazione all’osteosintesi cruenta è meno categorica ma auspicabile per ridurre i tempi di immobilizzazione: si attua mediante una vite infissa nell’estremo cefalico ancorata alla diafisi attraverso delle placche.
F. DELLA DIAFISI FEMORALE
Data l’alta resistenza di questo segmento osseo, le f. a suo carico si hanno solo nei grandi traumi (incidenti sul lavoro, stradali ecc… che interessano per lo più soggetti di età media).
La f., che solitamente interessa il 3° medio, può essere trasversale, obliqua o spiroide; nei bambini anche incompleta (“a legno verde”).
10 In tal caso la guaina periostea impedisce la scomposizione.
Nelle f. alte il frammento prossimale si sposta in avanti tirato dallo psoas e quello distale internamente (adduttori); mentre nelle f. basse il f. prossimale si sposta medialmente (adduttori) e quello distale all’indietro; in ogni caso sono comuni gli spostamenti reciproci anche cospicui dei frammenti.
Nelle f. complete è presente deformità dell’arto, accorciamento, extrarotazione dell’arto, oltre naturalmente a dolore e impotenza funzionale completa.
Complicanze immediate sono lo shock neurogeno e dall’irriducibilità con manovre incruente, a causa dell’interposizione di ventri muscolari.
Complicanze tardive sono invece la rigidità del ginocchio (per l’immobilizzazione prolungata richiesta), la pseudoartrosi e la consolidazione viziosa.
Trattamento
Nei bambini, essendo la consolidazione più rapida si effettua una riduzione incruenta mediante trazione trans-scheletrica e immobilizzazione in pelvipodalico; negli adulti invece, per evitare la rigidità del ginocchio, si ricorre al trattamento cruento (chiodo endomidollare o fissatore esterno o chiodo bloccato da viti trasversali in caso di f. poliframmentaria).
È possibile la deambulazione con bastoni già dopo 1-2 sett dall’intervento.
F. DELLA ROTULA
Molto frequenti, si producono quasi sempre per trauma diretto (urto contro il cruscotto negli incidenti stradali, caduta sul ginocchio), anche se è possibile per trauma indiretto (brusca contrazione del quadricipite).
Ce ne sono di diversi tipi ma le f. trasversali complete sono le più frequenti: la sintomatologia è:
o solco trasversale palpabile con mobilità preternaturale dei frammenti
o dolore spontaneo e alla pressione
o tumefazione del ginocchio (emartro)
o impotenza funzionale all’estensione attiva per interruzione del tendine rotuleo (è invece parzialmente conservata la flessione)
Clinicamente tali fratture si manifestano con una emorraggia notevole con il sangue che si riversa sia nell’articolazione sia attraverso le lacerazioni della capsula e della fascia nel tessuto sottocutaneo. Il dolore è sempre presente soprattutto ai movimenti dell’articolazione del ginocchio e alla pressione della rotula.
Complicanze immediate sono lesioni tegumentarie associate e, se la f. rotulea è stata procurata da un urto contro il cruscotto, una concomitante frattura del cotile posteriore.
Complicanze tardive sono la pseudoartrosi (per interposizione di lembi fibrosi), rigidità del ginocchio (immobilizzazione o aderenze), artrosi femoro-rotulea (l’artrosi è un’evenienza comune in tutte le f. articolari).
Trattamento
tutore femoro-malleolare per 20-30 gg eventualmente preceduto da osteosintesi cruenta con cerchiaggio metallico nelle f. scomposte con diastasi interframmentaria. Importante la FT per la riabilitazione dalla rigidità articolare.
FRATTURE DELLA TIBIO-TARSICA
L’articolazione tibio-tarsica è formata da tibia, perone e astragalo in modo tale che tibia e perone formino un’estremità ad incastro per la troclea astragalica (pinza tibioperoneale).
Mezzi d’unione di questa articolazione sono rappresentati dalla capsula articolare e da legamenti (legamento deltoideo, peroneo-astragalico anteriore, peroneo-astragalico posteriore e peroneo-calcaneare).
Le fratture del pilone tibiale sono importanti perchè coinvolgono l’articolazione tibio-tarsica.
Il meccanismo traumatico è di difficile ricostruzione perchè complesso e determinato dall’azione sinergica di molte forze (compressione, torsione, flessione o trazione).
Frequentemente si realizzano per traumi da sci.
Il trattamento è principalmente chirurgico e può essere preceduto da un periodo di trazione transossea se sono associate lesioni cutanee importanti.
Sono fratture instabili e la riparazione chirurgica deve ripristinare la normale superficie articolare.
Complicanze tardive sono rappresentate da processi infettivi (più frequenti nelle fratture esposte), pseudoartrosi, sindrome algodistrofica (interessano più frequentemente le forme trattate con trazione e immobilizzazione).
F. DELL’ASTRAGALO
Sono rare ma hanno complicanza temibili.
Si verificano per lo più per traumi indiretti (iperflessione del piede con contatto tra il collo dell’astragalo e il terzo malleolo: si può rompere anche quest’ultimo).
La f. può essere composta o scomposta con sublussazione del corpo dell’astragalo.
È presente dolore alla pressione locale e alla prono-supinazione del piede, tumefazione ed ecchimosi del collo e del dorso del piede e, nelle f. con lussazione, deformità.
Nelle f. con lussazione del piede sono possibili, nell’immediato, complicanze vascolo-nervose, mentre tardivamente può instaurarsi in maniera subdola e asintomatica, anche nelle f. correttamente e tempestivamente trattate, la necrosi asettica, che provoca gravi deficit funzionali del piede: per questo vanno eseguite Rx di controllo di routine (la necrosi è diagnosticata in base all’addensamento dell’astragalo, in contrasto con l’osteoporosi post-traumatica).
Si trattano con la riduzione (cruenta con fili se necessario) e l’immobilizzazione in gambaletto per 60 gg (40 senza carico); i lunghi tempi senza carico diretto sono necessari per diminuire il rischio di necrosi asettica.
F. DEI METATARSI
Sono abbastanza frequenti, e possono essere localizzate al collo, alla diafisi e all’epifisi. Di solito si procurano per traumi diretti, ma quelle della diafisi sono possibili anche per traumatismi ripetuti (f. da stress, frequenti negli sportivi – di solito si tratta in questo caso di infrazioni o f. parcellari). Molto frequente in particolare p la f. della base del 5° metatarso in corso di traumi distortivi del piede in varismo: la f. si produce per strappamento da parte del tendine del peroneo breve, che vi si inserisce.
Il trattamento comune è un gambaletto gessato per 30 gg (anche 90 nelle f. da stress) adatto al carico diretto.
LE FRATTURE VERTEBRALI
Le fratture vertebrali costituiscono il 4% delle lesioni fratturative dell’apparato scheletrico ed hanno maggiore incidenza nel sesso maschile nel III°-IV decennio di vita.
Il segmento più interessato è il tratto dorso-lombare seguito dal tratto cervicale, lombare e toracico.
In ambito classificativo generale va sottolineata la principale evenienza che si può associare alla frattura ovvero l’interessamento delle strutture neurologiche strettamente legate alla colonna vertebrale.
In considerazione della localizzazione anatomica distinguiamo:
– fratture anteriori isolate o fratture del corpo vertebrale
– fratture della porzione posteriore o fratture arcali
– fratture totali che interessano sia il corpo che gli archi posteriori.
Sulla base del meccanismo traumatico si evidenziano inoltre quadri anatomo-patologici differenti:
– fratture da schiacciamento a cuneo: rappresentano il tipo più frequente realizzandosi nei traumatismi con compressione assiale del rachide (caduta dall’alto) e determinando uno schiacciamento vertebrale della parte anteriore del corpo tanto che la vertebra assume un aspetto cuneiforme.
– frattura comminuta o da scoppio completa ed incompleta: si realizza con un meccanismo di iperflessione associata o meno alla rotazione. In tali fratture si può avere spostamento dei frammenti ossei e di parti del disco tale da determinare un interessamento midollare centrale o centro-laterale.
– fratture-lussazioni vertebrali: sono dovute a traumi con forze di distrazione-flessione, traslazione e distensione che realizzano una dislocazione della vertebra superiore sulla sottostante condizionandone lo schiacciamento. Sono fratture che comportano complicazioni neurologiche precoci o tardive che consistono in semplici irritazioni radicolari ma più spesso compressioni midollari o paralisi da sezione trasversa.
Il quadro clinico in caso di frattura vertebrale è dato da:
– dolore in corrispondenza della sede di frattura, ev. irradiantesi nei corrispondenti territori metamerici.
– rigidità della colonna conseguente alla contrattura antalgica della muscolatura paravertebrale
– impotenza funzionale al carico sul rachide direttamente correlata alla gravità della lesione in atto.
– può esserci deformità scheletrica del rachide (gibbo).
Alla valutazione clinico-radiografica (Rx in bending laterale, TAC, RNM) si dovrà testare in prima istanza il mantenimento o meno della stabilità a carico del segmento interessato dalla lesione traumatica in quanto tale dato è fondamentale per un corretto criterio terapeutico in quanto la prognosi di una instabilità disco-ligaamentosa si presenta nella maggiorparte dei casi sfavorevole.
La lesione midollare parziale o totale è una evenienza prognosticamente assai grave e la sua sintomatologia può esordire immediatamente o dopo intervallo libero (paralisi flaccida completa – automatismi midollari – spasticità con comparsa nel tempo di contratture articolari difficilmente vincibili).
In relazione al tratto di rachide interessato varia la sintomatologia, il decorso clinico e la terapia delle fratture vertebrali.
Il trattamento delle fratture dorso-lombari amieliche prevede il mantenimento di una posizione che non modifichi le fisiologiche curve attraverso l’applicazione di cuscini e supporti da usare subito dopo il trauma ed al ricovero del paziente in ambiente ospedaliero. In un secondo tempo verrà confezionato un corsetto gessato in stazione eretta a paziente seduto od in piedi utilizzando una trazione cervicale a fionda.
Per le fratture di D1-D2-D3 il corsetto gessato viene modellato facendo presa a livello del mento e dell’occipite; per le fratture dorsali basse, il corsetto deve invece estendersi dallo sterno alla sinfisi pubica lasciando libere le ascelle e permettendo una flessione dell’anca a 90°.
Qualunque sia il livello del segmento di colonna interessato da una frattura o frattura lussazione occorre instaurare al più presto alcuni provvedimenti terapeutici fondamentali quali l’attività muscolare isometrica della muscolatura del tronco e paravertebrale oltre che quella dell’arto superiore, l’assistenza respiratoria e dietetica.
Nelle lesioni mieliche inoltre dovrà essere prevenuta la possibilità di piaghe da decubito sacrali e monitorato il controllo della vescica e dell’intestino.
Se il paziente presenta un deterioramento neurologico progressivo, se la frattura è francamente instabile o se è esposta, se presente in un politraumatizzato, se il paziente è scarsamente collaborante il trattamento di scelta dovrà essere chirurgico e prevedere una sintesi con placche o viti translaminari.
LE LUSSAZIONI
Principi Generali
La lussazione è la completa perdita della congruità fra le superfici articolari di un’ articolazione solitamente causata da un trauma. Pertanto i capi ossei che prendono parte ad una articolazione risultano essere completamente dislocati l’ uno rispetto all’ altro.
Nella sublussazione la perdita di contatto fra le superfici articolari è incompleta; tale situazione, tipica di patologie ortopediche quali le infezioni articolari, l’artrite reumatoide e le displasie congenite, potrebbe evolvere verso una lussazione completa.
Se oltre a ripetersi per nuovo evento traumatico, si ripetono anche in assenza di traumi si parla di lussazioni abituali.
La sintomatologia caratterizzata principalmente da dolore e impotenza funzionale, con tipica deformità della regione interessata e resistenza elastica ai tentativi di mobilizzazione dell’ articolazione. La diagnosi indirizzata dalla valutazione anamnestico-clinica si conferma col reperto radiologico che deve precedere qualsiasi tentativo di riduzione. Le complicanze possono essere immediate, qualora la lesione comporti anche la frattura del capo lussato e/o coinvolga le strutture vascolo-nervose. Responsabili delle complicanze tardive sono invece le lassità articolari, da insufficiente riparazione dei sistemi legamentosi (lussazioni abituali), la necrosi asettica del capo lussato da interruzione dei vasi nutritizi e i problemi di rigidità legati alle ossificazioni periarticolari. Dal punto di vista terapeutico è determinante ottenere una riduzione per via incruenta entro le prime 24-48 h e quindi immobilizzare l’ articolazione per un periodo che dipende dalla localizzazione della lesione. La terapia cruenta diventa necessaria qualora ci si allontani dal tempo indicato per la riduzione incruenta oppure ogniqualvolta intervengano complicanze (associazione con fratture, interposizione dei tessuti molli, ect.) che rendono irriducibile la lussazione. Le lussazioni più frequenti sono quelle di spalla (lussazione della scapolo-omerale e lussazione della acromio-claveare), seguite da quelle di gomito, di dita, d’ anca e di ginocchio (lussazione della femoro-rotulea).
1) Lussazione della spalla (scapolo-omerale) si realizza per caduta sul braccio in estensione, sul gomito o direttamente sulla spalla. La lussazione anteriore (di gran lunga la più frequente) risulta da una caduta con braccio in abduzione e rotazione esterna. La deformità tipica “a spallina” del profilo della spalla per sporgenza dell’ acromion si associa ad un reperto palpatorio di assenza della testa omerale nella sua normale cavità e dolore ai tentativi di mobilizzazione. Tra le complicanze immediate, da identificare prima di ogni trattamento, l’ associazione con la frattura della testa omerale e la lesione del nervo circonflesso con conseguente paralisi del deltoide sono le più temibili. Tra quelle tardive la lussazione abituale rappresenta il quadro più frequente. Dopo aver eseguito un’ attenta valutazione clinico-neurologica e le opportune indagini radiografiche si deve rapidamente ottenere la riduzione. L’ avvenuta riduzione si apprezza con un netto rumore di scatto dovuto al rientro della testa omerale nel cavo articolare.
2) Lussazione della spalla (acromio-claveare) L’ articolazione acromio-claveare è stabilizzata dal robusto legamento coraco-claveare (legamento conoide e trapezoide) che spesso limita la dislocazione dei capi articolari, rendendo tale lussazione incompleta. La lussazione acromioclaveare ha origine in genere da una caduta sulla spalla o da un trauma diretto. Il capo clavicolare si sposta nella maggior parte dei casi in senso craniale per azione del muscolo trapezio, mentre l’acromion è tirato verso il basso dal peso dell’ arto. Nelle lussazioni complete ad una salienza tipica del profilo superiore della spalla si associa il segno patognomonico del “tasto di pianoforte” dovuto all’ immediata recidiva dopo riduzione manuale ottenuta premendo sul capo acromiale della clavicola. L’ indagine radiografica comparativa delle spalle, eseguita facendo sostenere due pesi al paziente, completa il quadro diagnostico mettendo in evidenza una risalita dell’ estremità acromiale della clavicola.
3) Lussazioni del gomito Si verifica generalmente per caduta sulla mano con gomito in iperestensione che determina una lussazione posteriore di entrambe le ossa dell’ avambraccio con frequente frattura dell’ apofisi coronoidea. La sporgenza posteriore dell’ olecrano si associa ad una posizione in atteggiamento obbligato di semiflessione dell’ avambraccio e qualsiasi tentativo di mobilizzazione evoca dolore. Da tener sempre in considerazione la possibilità di lesioni vascolari e nervose (i nervi mediano ed ulnare decorrono nelle vicinanze) prima e dopo le manovre riduttive. Dirimente per la diagnosi è l’ esame radiografico. La riduzione si ottiene in
narcosi trazionando distalmente l’ arto e flettendolo successivamente. Il tutto deve esser seguito da controllo radiografico e immobilizzazione in apparecchio gessato di tipo brachio-metacarpale flesso a 90 per 15-20 giorni.
Una lussazione molto frequente nei piccoli bambini è la sublussazione della testa del radio che prende il nome di “pronazione dolorosa”. Essa si realizza quando il bimbo, tenuto per mano, inciampa e l’ accompagnatore per evitarne la caduta esercita un movimento di trazione e supinazione dell’ avambraccio.
4) Lussazioni delle dita Relativamente frequenti hanno origine da traumi diretti o indiretti. Clinicamente si rileva un errore di posizione ed una fissità elastica e l’esame radiografico conferma la diagnosi. La riduzione della lussazione avviene trazionando il dito interessato e nella maggior parte dei casi non presenta complicazioni; solamente l’associazione con fratture può rendere difficoltosa la riduzione e la contenzione. Il periodo d’ immobilizzazione Š relativamente breve e comprende una o due settimane.
5) Lussazioni dell’ anca La struttura anatomica dell’ articolazione coxo-femorale, a causa della sua alta capacità contenitiva, dovrebbe rendere poco frequente la lussazione. Tuttavia la posizione da seduti a gambe accavallate (la più instabile per l’articolazione dell’ anca) è quella responsabile della lussazione d’ anca che interviene nei più comuni incidenti automobilistici: in seguito all’ urto del ginocchio sul cruscotto si produce una forza lungo l’ asse del femore che ne determina la lussazione posteriore. Dal punto di vista clinico nel caso di una lussazione posteriore (la più frequente) la gamba appare flessa, addotta ed intraruotata. Una tipica resistenza elastica è presente ai tentativi di mobilizzazione passiva.
6) Lussazioni del ginocchio (femoro-rotulea) Pur verificandosi in seguito ad evento traumatico (improvvisa contrazione del muscolo quadricipite con l’articolazione del ginocchio in flessione e gamba in rotazione esterna), è riferibile generalmente a fattori predisponenti., quali un minor sviluppo del condilo femorale esterno, aplasia rotulea, ipotrofia muscolare, ect. La rotula si lussa sempre lateralmente e non di rado si riduce da sola se l’estremità viene riportata nuovamente in posizione d’estensione. Il trattamento consiste nella riduzione e nell’ immobilizzazione in apparecchio gessato per circa due settimane. La lussazione della rotula può tuttavia recidivare. Si parla allora di lussazione abituale di rotula, il cui trattamento è di competenza chirurgica.
Dott. Mulè Claudio