Skip to content

Post CH 1

CHIRURGIA DELLA CUFFIA DEI ROTATORI DELLA SPALLA

La funzione normale del complesso della spalla richiede i movimenti coordinati delle articolazioni sternoclaveare (SC), acromioclaveare (AC) e glenomerale (GO), nonché della scapolotoracica e dell’interfaccia tra la cuffia dei rotatori e il soprastante arco coracoacromiale.

Obiettivo primario del complesso della spalla è quello di posizionare la mano nello spazio per le attività della vita quotidiana. In secondo luogo, durante le attività sportive “da sopra il capo”, come nel lancio della palla da baseball e nel servizio al tennis, la spalla agisce come “l’imbuto” attraverso il quale le forze che provengono dai muscoli più grossi e più forti degli arti inferiori e del tronco passano ai muscoli del braccio, dell’avambraccio e della mano, coinvolti in schemi motori più fini. L’abilità nell’eseguire efficacemente questi schemi viene dalla mobilità e dalla stabilità proprie della GO.

La configurazione ossea consente alla GO movimenti senza restrizioni. Una testa dell’omero ampia che si articola con una cavità glenoide piccola consente movimenti estremi a spese della stabilità che si nota in altre articolazioni. Analogamente, la scapola è molto mobile sulla parete toracica. Ciò le consente di seguire adeguatamente la glenoide evitando il conflitto dell’omero con l’acromion. C’è da dire che la stabilità ossea della GO è accentuata dalla presenza del cercine: struttura menisco ide che ottimizza la superficie di confronto tra i capi ossei.

Oltretutto nell’anatomia della spalla si possono individuare chiaramente i segni evo

lutivi per cui molte degenerazioni precoci sono dovute all’adattamento di strutture disegnate per lavorare a quattro zampe che devono invece torcersi in modo innaturale per rispondere a quelle che per noi sono attività normali.

In base a ciò è considerata piuttosto normale la fissurazione della cuffia dei rotatori per il 40% della popolazione ultra settantenne. Tale reperto può raggiungere anche lesioni massive senza però incontrare sintomatologie dolorose particolari o limitazioni funzionale abnormi.

LACERAZIONI DELLA CUFFIA DEI ROTATORI

Le lacerazioni della cuffia e il conflitto sotto-acromiale sono tra le cause più frequenti di dolore e disabilità della spalla. La frequenza delle lacerazioni della cuffia aumenta con l’età, infatti le rotture complete sono rare nei soggetti di età inferiore a 40 anni. Il complesso della cuffia dei rotatori comprende i tendini di quattro muscoli: sopraspinoso, sottospinoso, sottoscapolare e piccolo rotondo. Questi muscoli hanno origine sulla scapola, incrociano la GO, poi terminano con tendini che si inseriscono sulle tuberosità dell’estremo prossimale dell’omero. La cuffia ha tre funzioni note: rotazione della testa dell’omero, stabilizzazione della testa dell’omero nella cavità glenoide( con la compressione della testa rotonda nella fossa poco profonda) e capacità di offrire “equilibrio muscolare”, stabilizzando la GO quando altri muscoli più grandi che incrociano l’articolazione si contraggono. Una lesione della cuffia dei rotatori può avvenire attraverso stadi successivi. Le lacerazioni della cuffia possono essere classificate in acute e croniche, a seconda del tempo nel quale si instaurano, e in parziali (dal lato della borsa o dal lato dell’articolazione) o complete, in base alla profondità della lacerazione. Le rotture complete possono essere classificate in base alle dimensioni della lacerazione.

La riparazione chirurgica di una cuffia dei rotatori lacerata viene eseguita nel tentativo di ridurre il dolore, migliorare la funzione e ampliare il ROM. Il trattamento postoperatorio deve osservare un precario equilibrio tra le restrizioni che consentono al tessuto di guarire e le attività che recuperano il ROM e il ripristino graduale della funzione e della forza muscolare. Non è raro constatare una rigidità e un dolore postoperatorio nonostante una riparazione chirurgica eccellente se la riabilitazione postoperatoria non è corretta.

TIPO DI RIPARAZIONE

I pazienti che hanno subito un distacco del deltoide o un release dall’acromion o dalla clavicola (ad es., riparazione aperta tradizionale della cuffia dei rotatori) non possono praticare contrazioni attive del deltoide per 6-8 settimane, per prevenirne l’avulsione. La riparazione artroscopica della cuffia ha effettivamente una velocità di recup ro leggermente inferiore, per la fissazione più debole della ricostruzione rispetto a quella di una procedura aperta. Una procedura mini-invasiva, che prevede un’incisione verticale nell’orientamento delle fibre del deltoide, consente contrazioni più lievi e precoci del deltoide. Indipendentemente dalla chirurgia utilizzata, in tutti i pazienti devono essere rispettati i tempi biologici della guarigione dei tendini.

LA RIABILITAZIONE NELLA SPALLA OPERATA

E’ ambizione comune, nell’ambito delle patologie muscolo-scheletriche, recuperare il paziente nel più breve tempo e nel miglior modo possibile. In passato i tempi d’immobilità post-chirurgica venivano eccessivamente ed erroneamente prolungati, con gravi complicanze legate alla parziale perdita di mobilità e all’eccessiva riduzione del tono-trofismo muscolare. Negli ultimi anni, consapevoli degli aspetti negativi riconducibili all’immobilità, la tendenza è stata quella di ridurre il periodo di “non uso” del distretto interessato.

Nella maggioranza dei casi, questo principio condotto con logica e razionalità, ha contribuito ad un più veloce recupero complessivo del paziente, sportivo e non.

Sono molte le condizioni patologiche che possono interessare il complesso della spalla. Come in altre parti del sistema muscoloscheletrico, il problema può essere il frutto di una lesione traumatica acuta con danno di una o più parti del sistema, oppure di microtraumi ripetitivi che alterano gradatamente la meccanica normale dell’intero complesso. Mobilità, forza e stabilità sono le tre componenti della funzione della spalla che possono essere compromesse da una lesione acuta o cronica. Tutte e tre possono essere trattate efficacemente con una terapia riabilitativa.

In generale, la riabilitazione di una spalla dopo lesione o intervento chirurgico comincia con una mobilizzazione attiva precoce per recuperarne la meccanica normale. I benefici di una mobilizzazione precoce sono stati ben documentati in altre aree del corpo. Ad esempio, programmi accelerati di riabilitazione del ginocchio dopo ricostruzione del legamento crociato anteriore, hanno determinato un più rapido recupero del movimento, della forza e della funzione senza comprometterne la stabilità. È stato dimostrato che un’immobilizzazione stretta è responsabile di un’instabilità “funzionale” della spalla secondaria a inibizione della cuffia dei rotatori, ad atrofia muscolare o a un cattivo controllo neuromuscolare. La mancanza di movimento attivo del complesso della spalla compromette le normali relazioni meccaniche tra la GO e la scapolotoracica e può portare ad anomalie della cuffia dei rotatori o a una sindrome da conflitto. I problemi a proposito della mobilizzazione precoce in questi casi riguardano la paura di aggravare una condizione già di per sé dolorosa ed il rischio di compromettere una riparazione chirurgica. Il timing degli esercizi di mobilizzazione e di rinforzo deve essere ben delineato al paziente ed al terapista.

A nostro avviso, l’applicazione pratica della riabilitazione anticipata, deve rispettare il compromesso tra la salvaguardia dei tessuti danneggiati ed il rispetto dei tempi biologici di guarigione ed il movimento richiesto al fine di scongiurare l’insorgere della rigidità di spalla.
Un’attenzione particolare bisogna porla al dolore che può giocare un ruolo determinante nel ritardare il recupero.
In collaborazione con l’equipe chirurgica, il fisioterapista dovrà essere a conoscenza del tipo d’intervento e della qualità dei tessuti. Nei pazienti operati per instabilità si potrà procedere precocemente alla mobilizzazione passiva condotta sul piano scapolare, rispettando in questo modo i punti di sutura. Alcuni autori Francesi ricercano questo movimento sin dai primi giorni post-chirurgici, consapevoli del fatto che, i 150° di elevazione sul piano scapolare (definita posizione zero), corrispondono alla posizione di tensione neutra delle strutture capsulo-legamentose. Il movimento viene eseguito in posizione supina autoassistito dallo stesso paziente che si aiuta con il braccio controlaterale.
Le tecniche di presa per le mobilizzazioni passive devono possedere alcune caratteristiche direttamente collegate all’esperienza dell’operatore.
Detto questo, nei pazienti operati per lesione di cuffia, le mobilizzazioni passive anticipate, si potranno compiere evitando le adduzioni sia in anteposizione che in retroposizione e le rotazioni. Maggiore attenzione dovrà essere condotta al recupero della forza che inizialmente non dovrà riguardare i muscoli suturati. Per tale motivo si eseguiranno esercizi analitici rivolti ai muscoli non direttamente interessati. Utili anche blandi esercizi in catena cinetica chiusa dell’arto superiore.
Tutti questi aspetti, ed altri ancora, ci permettono di strutturare un protocollo di trattamento.
Il protocollo, a sua volta, deve essere flessibile e adattato alle esigenze soggettive ed oggettive del momento, poiché le variabili che lo influenzano sono diverse.
Lo stesso esercizio può essere riprodotto in una piscina riabilitativa, con l’aiuto della spinta di galleggiamento offerta dall’acqua. Inoltre l’acqua riduce il dolore dato dal movimento (per effetto dell’inibizione centrale dello stimolo doloroso condotto dalle fibre afferenti sensitive di piccolo calibro), ed offre delle resistenze individualizzate.

La piscina rappresenta un valido aiuto nel recupero della mobilità anche nelle immediate fasi post-chirurgiche. Le resistenze elastiche e successivamente quelle isotoniche, possono favorire un graduale recupero della forza specifica e generale. Nelle instabilità unidirezionali, oltre all’anteposizione è possibile eseguire il movimento di rotazione opposto alla direzione dell’instabilità. Il recupero della forza, in questi pazienti, solitamente non rappresenta un problema. Risulta invece fondamentale stabilire, specialmente negli atleti praticanti sport di lancio, la percentuale di forza posseduta. Prima di riprodurre il gesto specifico è indispensabile aver recuperato il 90% della forza rispetto al braccio controlaterale; tali valori ridurranno i rischi di recidive d’instabilità associate ad “overuse”.
Per la valutazione della forza è indispensabile possedere una macchina isocinetica o isometrica, che permetta test attendibili e riproducibili. Il test rappresenta un punto di riferimento che stimola il paziente ad aumentare l’impegno nell’esecuzione degli esercizi di rinforzo e indica al fisioterapista l’efficacia del lavoro consigliato al paziente.
Per limitare la riduzione di forza relativa al primo periodo post-chirurgico, consigliamo:

  • la rieducazione pre-operatoria
  • limitare il periodo d’immobilità
  • far lavorare i distretti vicini (polso, gomito, tronco)
  • utilizzare il principio del trasferimento controlaterale
  • dell’innervazione crociata
  • sfruttare il movimento anticipato in

L’ARTROSCOPIA DI SPALLA

indicazioni e considerazioni sui risultati.
Nei primi anni ‘50 Neer, si rese conto dei cattivi risultati funzionali a cui andavano incontro le fratture complesse dell’omero prossimale, trattate con metodiche conservative, iniziò ad utilizzare una componente protesica omerale di sua progettazione.
Incoraggiato da questa sua esperienza pensò di applicare la stessa metodica alla patologia degenerativa, i cui risultati furono pubblicati nel 1964. Bisognerà poi attendere altri 10 anni (1974) perché lo stesso Neer proponesse anche la sostituzione della glena ed estendesse l’indicazione alla patologia infiammatoria .
L’esperienza con la chirurgia sostitutiva della spalla ha quindi una durata di oltre 40 anni; malgrado questo, tuttavia, l’attenzione degli ortopedici si é concentrata sul problema in maniera discontinua ed in misura comunque marginale rispetto ad altre articolazioni “protesizzabili”.
L’indicazione alla protesi di spalla si pone con relativa frequenza data l’incidenza di localizzazioni degenerativo-infiammatorie e dei traumi.
Un atteggiamento di sfiducia “a priori” verso questa procedura non é giustificabile visti i risultati emersi dalle varie casistiche.
Mentre i risultati sul dolore sono generalmente ottimi a prescindere dalla patologia di base, il risultato funzionale dipende strettamente dall’indicazione e dalla diagnosi. Per migliorare i risultati attuali di questa chirurgia oltre al perfezionamento della tecnica chirurgica e l’evoluzione dei disegni protesici sono necessari una corretta selezione dei pazienti e, nei casi idonei, un’indicazione più precoce.

LE RIGIDITA’ DOPO CHIRURGIA PROTESICA: QUALE RIABILITAZIONE?

Come capire se l’escursione articolare raggiunta rappresenta il nuovo limite fisiologico della “neo-articolazione protesica”?
Il chirurgo deve rilevare ed annotare la mobilità passiva su tutti i piani, effettuate nel post-chirurgico con paziente in anestesia, poiché i risultati funzionali dell’impianto, a fine terapia, non potranno essere mai superiori a quelli riscontrati passivamente durante le riduzioni di prova.
Queste ampiezze di movimento, annotate nella cartella clinica, saranno il punto di riferimento, la meta da raggiungere, per il fisioterapista e per il paziente.
Alcuni fattori squisitamente chirurgici possono essere causa di rigidità; è importante essere informati su tali aspetti per non accanirsi nei confronti di un recupero articolare impossibile da raggiungere.
Fatte queste considerazioni e certi di una ricostruzione più anatomica possibile, la riabilitazione dovrà prevedere una mobilizzazione passiva precoce (eccetto nelle protesi su frattura dove è bene attendere 10/15 giorni) a partire dal primo giorno post-chirurgico e condotta sia dal fisioterapista che da un mobilizzatore passivo (si consigliano 3 o 4 sedute distribuite durante la giornata in modo omogeneo, mattino, tardo mattino, pomeriggio, sera, della durata di 20-30 minuti ciascuna, seguite da 10-15 minuti di crioterapia in loco).

LA RIABILITAZIONE

La sostituzione protesica dell’articolazione gleno-omerale trova il suo campo applicativo in una serie di patologie della spalla che vanno dall’acuto al cronico. E’ ovvio pensare che, nonostante il protocollo riabilitativo preveda gli stessi tempi tra i vari pazienti che giungono all’indicazione protesica per cause diverse, differenti saranno gli accorgimenti da utilizzare e altrettanto diverso sarà il risultato finale.
Nel trattamento post-chirurgico si attuano degli accorgimenti in relazione al tipo di protesi e al tipo di patologia.

ENDOPROTESI- Abbiamo la sostituzione protesica della testa dell’omero. La glena non presenta caratteristiche tali da indicarne una sostituzione protesica.

ARTROPROTESI- È presente una sostituzione sia della componente omerale che di quella glenoidea. Una delle caratteristiche di tali pazienti è rappresentata dalla “buona qualità” dei tessuti molli (cuffia dei rotatori).

PROTESI INVERSA- Sulla cavità glenoidea viene applicata una glenosfera, mentre la porzione prossimale dell’omero assume la forma della glenoide. Questa protesi trova applicazione in quei pazienti con cattiva qualità dei tessuti molli periarticolari. Per consentire un maggior movimento attivo,si modifica l’anatomia spostando il fulcro dell’articolazione, ciò favorisce una leva muscolare del deltoide vantaggiosa.

ASPETTATIVE E RISULTATI

La funzione principale della spalla è di consentire il posizionamento della mano nello spazio ampliando il raggio di azione e le possibilità di relazionarsi con l’ambiente esterno. Per questo motivo la patologia di spalla è fra quelle che maggiormente determinano un alto grado di disabilità e handicap. Un deficit di movimento o di forza, infatti, rende estremamente difficile lo svolgimento di mansioni fondamentali per il nostro vivere come la capacità di alimentarsi, di vestirsi, di provvedere all’igiene del capo e alla cura dei capelli e all’igiene perineale.
Gli obiettivi della riabilitazione quindi devono essere alleviare il dolore, ottenere un buon equilibrio tra mobilità e stabilità, recuperare una funzione della spalla accettabile al fine di migliorare la qualità di vita. Il termine accettabile sottolinea l’importanza di essere estremamente chiari con il paziente; in generale in riabilitazione si intende accettabile una funzione che consenta lo svolgimento della ADL.
In base alla nostra esperienza la corretta progressione nel recupero della forza è la seguente: prima agire sui depressori dell’omero in particolare grande pettorale e gran dorsale, i protettori gleno omerali mirando a ristabilire il corretto equilibrio fra RE e RI (fra questi ultimi il m. sottoscapolare non sarà sollecitato per le prime 6 sett.), i muscoli scapolo omerali o rotatori della scapola che favoriscono un buon ritmo scapolo toracico, ed infine i posizionatori dell’omero e quindi anche il deltoide, prima i fasci posteriori ed anteriori e successivamente i fasci medi.
L’ultima fase, quella funzionale, è mirata alla ripresa del controllo neuromotorio. E’ fondamentale recuperare la consapevolezza del movimento (cinestesia) e la percezione della posizione nello spazio (propriocezione) proprio al fine di elaborare gli stimoli periferici e tradurli in risposte motorie coordinate. Tale recupero è basato su quattro elementi fondamentali: la sensazione propriocettive e cinestesiche, la stabilizzazione dinamica dell’articolazione, il controllo reattivo neuromuscolare e il richiamo a schemi motori funzionali aiutandosi con l’applicazione di biofeedback ed esercizi specifici dell’ADL (terapia occupazionale).
Le aspettative a 12 mesi dall’intervento senza complicanze sono: una elevazione di circa 160°, una ER di 75° una IR di 80 nella spalle con cuffia integra, mentre se la cuffia è lesa il range of motion sarà così ridotto: 90° per l’elevazione, 30-40° in ER e 50° in IR. Leggermente diverso è per la protesi inversa dove in genere vi è una rottura massiva di cuffia.
In queste situazioni ovviamente l’obiettivo è controllare il dolore e recuperare l’articolarità più che il rinforzo. Rispetto al precedente protocollo il recupero in tale situazione si differenzia per un più rapido recupero dell’articolarità e una attenzione particolare per il rinforzo dei fasci anteriori del deltoide che favoriscono l’elevazione anteriore del braccio vicariando la cuffia deficitaria.
In conclusione per una buona riuscita della ripresa funzionale è necessario valutare globalmente il paziente, informarlo ed educarlo all’autogestione, personalizzare il programma riabilitativo per ottenere in massimo recupero funzionale possibile ed infine collaborare con i colleghi ricordandosi che al centro dell’ipotetico triangolo ortopedico-fisiatra-fisioterapista vi è l’unico protagonista della storia “il paziente”

LESIONE DEL LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE

ANATOMIA

Il legamento crociato anteriore (LCA) è un cordone fibroso del diametro di un centimetro teso dentro il ginocchio tra la tibia ed il femore.
Ha origine dalla zona pre-spinale del tratto tibiale e raggiunge , con un tragitto obliquo diretto verso l’alto, la zona più alta e posteriore della faccia mediale e del condilo laterale del femore.
Da un punto di vista anatomico è costituito da due fasci:
il fascio anteromediale, che risulta maggiormente lungo e voluminoso ed è a stretto contatto con il legamento crociato posteriore (LCP), ed il fascio postero- laterale, di dimensioni minori e che risulta quasi completamente coperto dal fascio antero-mediale.

L’LCA è uno dei cardini della stabilità del ginocchio. Esso evita il movimento di traslazione anteriore della tibia sul femore.
Il movimento tra tibia e femore è una combinazione di rotolamento e scivolamento, e risulta un meccanismo piuttosto complesso che viene appunto realizzato grazie alla presenza del LCA e del LCP.
Durante la flessione del ginocchio è il LCA che determina il passaggio dal meccanismo di rotolamento a quello di scivolamento, mentre nella fase di estensione è il LCP che determina la cinematica inversa.
Per cui, sul piano sagittale, il LCA ed il LCP stabilizzano l’articolazione del ginocchio in senso antero-posteriore, in particolare il LCA si oppone alle eccessive traslazioni anteriori della tibia e sulle trazioni posteriori del femore sulla tibia quando quest’ultima risulti fissa, mentre il LCP contiene le eccessive traslazioni posteriori della tibia rispetto al femore.

LESIONI

La lesione del legamento crociato anteriore può avvenire per bruschi movimenti di torsione sull’arto inferiore o per trauma dall’esterno.
Tale struttura è fortemente sollecitata durante l’attività sportiva di vario tipo e la sua rottura è un evento abbastanza frequente. La mancanza di esso altera la biomeccanica del ginocchio con conseguenti cedimenti improvvisi nell’appoggio sull’arto interessato, e quindi ulteriori danni articolari (meniscali e cartilaginei) che conducono ad una precoce artrosi dell’articolazione.
Il danno strutturale del LCA non è necessariamente correlato alla pratica dell’attività sportiva, possono infatti incorrere in questa patologia individui di ogni età anche non praticanti alcuna forma di attività sportiva e ricreativa, anche se ovviamente la maggior percentuale d’insorgenza lesiva risulta correlata all’attività fisica, oltre il 60% delle lesioni acute del LCA è in effetti da mettersi in relazione alla pratica sportiva.
Inoltre è da considerarsi che nelle lesioni acute del ginocchio che evidenzino un subitaneo emartro (raccolta di sangue entro la cavità articolare), il LCA è coinvolto nel 72% dei casi.
I meccanismi che risultano come frequenza maggiormente associati alla lesione totale o parziale del LCA sono:

  • L’extra-rotazione in valgo
  • La flessione del ginocchio associata all’intrarotazione
  • L’iperestensione associata all’intrarotazione

In questi casi il legamento può cedere istantaneamente, in meno di due centesimi di secondo circa, è quindi di fatto impossibile per l’atleta effettuare una risposta muscolare correttiva di tipo volontario.

Al momento della lesione normalmente sono legate sensazioni specifiche da parte del paziente, come una sensazione di “schiocco” o di rottura all’interno dell’articolazione del ginocchio, associate ad un cedimento ed ad una difficoltà di deambulazione.

DIAGNOSI

La diagnosi di rottura dev’essere sospettata se, dopo un trauma anche banale, il ginocchio si gonfia in breve tempo.
La lassità di un ginocchio con LCA rotto si avverte soprattutto nelle attività di torsione con cedimenti seguiti da gonfiore e senso di insicurezza.
La ripetizione dei cedimenti può provocare altre lesioni legamentose (la lassità aumenta) e/o lesioni meniscali (blocchi) e/o cartilaginee (dolore e versamento).
Tale lassità legamentosa può essere affrontata senza intervento evitando le attività sportive che comportano torsioni al ginocchio in sport come il calcio, il basket, la pallavolo, lo sci, il tennis.
La valutazione del danno legamentoso avviene essenzialmente attraverso due tipi d’indagine:
• la valutazione clinica
• l’indagine strumentale
Nella valutazione clinica l’operatore cerca di stabilire l’entità della lassità legamentosa, sia in senso anteriore-posteriore, attraverso il Lachman test ed il test del cassetto anteriore, sia in senso rotatorio, grazie al jerk test.

Test di Lachman

Si esegue sollecitando con una mano anteriormente il terzo prossimale della gamba, mentre l’altra mano fissa la coscia afferrandola al di sopra del ginocchio. Mentre una mano stabilizza la coscia dell’infortunato al di sopra del ginocchio (regione sovracondoiloidea) l’altra mano afferra la gamba al terzo prossimale sollecitandola anteriormente. La presenza di un patologico spostamento anteriore della tibia indica la positività della manovra che corrisponde quindi ad una ricerca di un cassetto anteriore con il ginocchio appena flesso.

Test del Cassetto Anteriore

Il paziente (supino su una superfice rigida) mantiene il ginocchio flesso a 90° col piede appoggiato sul piano del letto. L’esaminatore si pone a sedere sul letto dell’infortunato con un gluteo sul piede dell’arto da esaminare. Afferrando con le due mani la gamba a livello del terzo prossimale si imprimono delle sollecitazioni sul piano sagittale ricercando uno spostamento anteriore o posteriore (cassetto anteriore o posteriore) del piatto tibiale rispetto ai condili femorali. Anche se l’esame completo prevede l’esecuzione di tale manovra con la tibia in tre differenti posizioni (neutra, rotazione esterna e rotazione interna) la manovra in posizione neutra consente un giudizio clinico sufficientemente esatto.

Jerk Test

Il Jerk test ricerca invece una motilità abnorme del ginocchio sul piano orizzontale. La manovra si esegue sollevando l’arto e mantenendolo intraruotato con una mano posta a livello del collo del piede e facendo compiere al ginocchio piccoli movimenti di flesso estensione con l’altra mano posta a piatto a livello della testa del perone. La positività del segno è indicata dalla presenza di uno scatto (jerk) percepito dalla mano posta a livello della testa del perone al momento del passaggio della estensione ai 20° di flessione circa.

Trattamenti

TRATTAMENTO CONSERVATIVO

Il semplice rinforzo muscolare in palestra può aiutare a convivere con la lassità praticando sport come la bicicletta e il nuoto, tuttavia il trattamento conservativo è in grado di essere effettivamente efficace solamente in un limite ridotto dei casi, circa il 36%.
A lungo termine la maggioranza dei pazienti presentano artrosi articolare e nel 51% dei casi si registra un nuovo evento traumatico entro 6-9 mesi.
Per questi motivi, se nel corso del trattamento conservativo stesso, perdura una sintomatologia stabile, diviene d’obbligo ricorrere al trattamento chirurgico.

TRATTAMENTO CHIRURGICO

La tecnica chirurgica del LCA è notevolmente migliorata nell’arco degli ultimi 10 anni e la percentuale di riuscita ad oggi si aggira attorno al 90% dei casi.
La cura consiste nella sua ricostruzione con un innesto (trapianto) prelevato dallo stesso ginocchio o dal controlaterale.
L’innesto consente di sostituire il legamento mancante. Come innesto, si può prelevare il tendine rotuleo oppure i tendini che stanno sulla faccia mediale della coscia e del ginocchio (semitendinoso e gracile).

Trapianto con tendine rotuleo

attraverso un’incisione anteriore di circa 8 cm si preleva il terzo centrale del tendine rotuleo (diametro 10 mm) con due cilindri di osso della rotula e della tibia (10 mm x 20 mm) alle estremità.
L’impianto dell’innesto nell’articolazione viene preparato sotto controllo artroscopico. Vengono poi trattate le eventuali lesioni meniscali (sutura o regolarizzazione) e/o cartilaginee (pulizia). Per inserire il nuovo legamento si fresano due tunnel, del diametro corrispondente all’innesto, sulla tibia e sul femore (10 mm).

L’innesto viene dunque spinto all’interno del ginocchio in modo che le estremità penetrino nei tunnel del femore e della tibia e il tendine sostituisca così il legamento. Viene fissato al femore e alla tibia con viti metalliche o in altro materiale dopo aver cercato la tensione ottimale. La ricostruzione è considerata conclusa solo se è stato provato che l’estensione e la flessione del ginocchio siano complete e la stabilità ottima.

Trapianto con semitendinoso/gracile

il prelievo richiede un’incisione più piccola poco sotto il ginocchio.
Anche i tunnel ricavati sulla tibia e sul femore sono sensibilmente ridotti (8/9 mm).
Il decorso è equivalente a quello del tendine rotuleo ma l’abbandono della ginocchiera e la ripresa dell’attività agonistica sono ritardati rispettivamente di 10 gg e 2 mesi.

Ricostruzione con allograft (tendine da donatore)

È un innesto ottenuto da un tendine d’Achille o rotuleo da donatore. L’intervento ha il vantaggio di non prevedere il prelievo di tendini del paziente, evitando così di indebolire il quadricipite o i flessori di coscia come nei precedenti due interventi. Sono state messe in discussione le sue capacità di tenuta rispetto agli altri due innesti e questo ne ha rallentato la diffusione in questi anni. Ultimamente studi di biomeccanica sembranoì smentire questi timori, facendo presagire un suo crescente utilizzo. A seconda delle equipe ortopediche viene consigliato o meno un tutore nel post-operatorio.
In genere è una procedura riservata a ginocchia deboli o recidivanti.
Dopo l’impianto chirurgico, l’innesto del LCA segue in sequenza le fasi di:

  • Necrosi avascolare
  • Rivascolarizzazione
  • Rimodellamento.

Le proprietà del materiale dell’innesto cambiano man mano che il processo di legamentizzazione avanza.

Durante il periodo di maturazione, il punto di rottura di un autoinnesto prelevato dal tendine rotuleo può diminuire fino all’11% rispetto al normale punto di rottura di un LCA e la resistenza dell’innesto può diminuire fino al 13% rispetto a un normale LCA.

I dati presenti in letteratura indicano che gli innesti inseriti assomigliano alla struttura di un LCA naturale già 6 mesi dopo l’impianto, ma continuano a maturare per 1 anno intero.

RIABILITAZIONE

RECUPERO POST-OPERATORIO

Periodo post operatorio. Il ginocchio viene immobilizzato in estensione completa a volte con la prescritta ginocchiera, già qualche ora più tardi è necessario muovere attivamente il piede.
Il giorno dopo inizia il movimento passivo in flessione da eseguire più volte al giorno. Per facilitare il recupero dell’estensione durante la posizione supina si colloca uno spessore sotto il calcagno e si abbandona l’arto in completa iper-estensione, oppure in posizione prona (dalla seconda settimana) si lascia l’arto dal ginocchio in giù fuori dal letto sfruttando il suo peso per estenderlo.
Il carico sull’arto operato con stampelle e ginocchiera inizia il giorno dopo l’intervento salvo complicazioni.
Poiché dolore e versamento provocano inibizione riflessa dell’attività muscolare e di conseguenza atrofia muscolare postoperatoria, è importante controllare presto questi problemi per facilitare un precoce recupero dell’articolarità e della forza muscolare.
Le procedure terapeutiche standard per la riduzione del dolore e del versamento sono la crioterapia, la compressione e l’elevazione (RICE).
Per ridurre il dolore, l’infiammazione e il versamento dopo una ricostruzione del LCA di solito viene usata la crioterapia, che ha un effetto locale, provocando una vasocostrizione che riduce il versamento di liquidi, inibendo la conduzione nervosa afferente, riducendo così il dolore e gli spasmi muscolari, e prevenendo la morte cellulare, il che limita il rilascio dei mediatori chimici del dolore, dell’infiammazione e dell’edema.
L’arto può rimanere libero sul letto nei periodi di riposo con la borsa del ghiaccio per non più di 20 minuti.
Non bisogna stare fermi nella stessa posizione, in piedi o seduti, per molto tempo in modo da limitare il gonfiore.
La rieducazione presso il centro fisioterapico inizia subito dopo la dimissione.
L’articolazione ha bisogno di funzionare per vivere bene; sono necessari movimenti, carico e gioco muscolare normali e anche il trapianto stesso deve essere giustamente stimolato per completare la sua maturazione che dura circa 6 mesi.
Le stampelle andrebbero di norma abbandonate dopo 2 settimane e la ginocchiera quando la muscolatura controlla bene il movimento.
La parte più voluminosa della rieducazione va inserita tra la terza e l’ottava
settimana per poi abbandonare ogni tipo di sollecitazione anomala durante il terzo mese, periodo in cui il neolegamento attraversa una fase avascolare importante e non è corretto sollecitarlo. Durante tale periodo si possono conservare ed evolvere i risultati ottenuti finora con l’idrochinesi.
Il programma di rinforzo muscolare deve riportare la forza nell’arto operato molto vicina a quella dell’arto sano nel giro di 4 mesi. Al 5° mese si possono iniziare gli allenamenti (se calcio anche con la palla ma da soli non in squadra) e con gradualità anche movimenti di torsione tipo la corsa su terreno accidentato.
La completa ripresa dell’attività agonistica è concessa alla fine del 6° mese dopo il trapianto con tendine rotuleo, alla fine dell’8° mese con semitendineo/gracile.
La rottura traumatica isolata od associata del LCA, a cui consegue una sua ricostruzione chirurgica, normalmente effettuata in artroscopia tramite utilizzazione del tendine rotuleo, comporta una marcata amiotrofia della muscolatura della coscia in toto. L’ipotonotrofia muscolare coinvolge, sia la muscolatura flessoria, che quella estensoria, anche se la sofferenza muscolare a carico degli estensori appare notevolmente maggiore. La lesione associata del menisco interno sembra aggravare il deficit funzionale dinamico in flessione, mentre le lesioni a carico del menisco esterno aggraverebbero il quadro funzionale dinamico estensorio. Più in generale il trauma del LCA può essere associato anche ad altre lesioni, come quella ai legamenti collaterali, soprattutto del collaterale mediale, oppure a lesioni cartilaginee o del legamento crociato posteriore. In genere la perdita di tono muscolare è registrabile soprattutto a carico degli quadricipite ed in particolar modo del vasto mediale obliquo (VMO).
La riabilitazione si basa quindi sul recupero della mobilità, propriocettività e della forza mantenendo la stabilità del ginocchio proteggendo l’innesto che sta guarendo e il sito donatore.
Programmi di riabilitazione aggressiva e “accelerata” sono resi possibili dai miglioramenti nei materiali protesici e nei metodi di fissazione e da una migliore comprensione della biomeccanica degli innesti e degli effetti dei vari esercizi ed attività sulla resistenza dell’innesto.
Nonostante questi protocolli possano risultare sicuri e appropriati, devono essere rivisti con attenzione fino a quando la continua ricerca sull’attecchimento dell’innesto non ci indichi fino a che punto può giungere una riabilitazione “accelerata “

REGOLE GENERALI

La mobilizzazione passiva e attiva va iniziata immediatamente dopo l’operazione chirurgica e può essere facilitata con l’utilizzazione di un apparecchio di mobilizzazione passiva continua (MPC).
L’immobilizzazione post-operatoria aumenta il rischio che, in seguito, per recuperare la mobilità si renda necessaria una manipolazione (sblocco in narcosi).
Il controllo del dolore e della tumefazione, la precoce riattivazione del quadricipite e la ripresa precoce del carico facilitano il recupero della motilità.
Bisogna dare inizio a tecniche di mobilizzazione della rotula per prevenire retrazioni del tendine rotuleo o del retinacolo, condizioni che determinano una riduzione della motilità.
L’obiettivo immediato più importante è riacquistare e poi mantenere l’estensione del ginocchio immediatamente dopo l’intervento.
Fra i 7 e i 10 giorni post-operatori bisogna raggiungere una flessione del ginocchio di 90°. I vantaggi teorici del carico includono la miglior nutrizione della cartilagine, la riduzione dell’osteopenia da disuso, la riduzione della fibrosi perirotulea e il più rapido ripristino della funzione del quadricipite.
L’inizio precoce dell’allenamento muscolare è cruciale per prevenire l’atrofia e l’ipostenia muscolare.
L’elettrostimolazione può essere utile per iniziare l’attività muscolare nei pazienti che non riescono a contrastare volontariamente l’inibizione riflessa.
Il biofeedback può essere utilizzato per aumentare la forza della contrazione muscolare.
L’equilibrio muscolare, tra quadricipite e ischiocrurali, migliora la protezione dinamica del LCA.
È stato dimostrato un aumento del rischio di infortunio in caso di un’insufficiente attivazione come antagonisti degli ischiocrurali.
L’affaticamento riduce significativamente non solo la forza della contrazione muscolare, ma anche il tempo di risposta elettromeccanica e l’entità della forza muscolare generata.
Poiché i deficit di questi elementi critici per la stabilizzazione dinamica del ginocchio riducono la capacità di proteggere il ginocchio durante le comuni attività, nel programma riabilitativo bisogna includere l’allenamento alla resistenza.
Comunque la più importante regola che bisogna utilizzare per riabilitare un’articolazione lesa è quella del buon senso e della personalizzazione assoluta, età, sesso, disciplina sportiva praticata, livello dell’atleta e tante altre componenti fanno si che il tutto si diriga nella giusta direzione o meno.
Un’alterata propriocezione riduce la capacità dell’individuo di proteggere il ginocchio e probabilmente sottopone il LCA a traumatismi ripetuti e infine alla rottura.
Si è visto che nelle ginocchia dei pazienti senza LCA le capacità propriocettive si riducono e alla fine questo ha un effetto dannoso sul riflesso di stabilizzazione dinamica degli ischiocrurali.
Il programma di recupero propriocettivo deve lavorare su tutti i livelli del controllo neuromuscolare:

  1. Il controllo dei centri superiori si sviluppa attraverso attività coscienti e ripetitive di posizionamento che aumentano le informazioni sensoriali migliorando la corretta attività di stabilizzazione dell’articolazione.
  1. Il controllo inconscio si sviluppa interponendo tecniche distraenti durante lo svolgimento degli esercizi, come il dover lanciare o prendere al volo una palla durante lo svolgimento di un
  2. Per migliorare il controllo del tronco encefalico, è utile eseguire esercizi di equilibrio e di mantenimento posturale, iniziando con attività visive a occhi aperti e passando poi a esercizi a occhi chiusi, per eliminare le afferenze
  3. Il programma di riabilitazione include una progressione di attività da superfici fisse a instabili e dall’appoggio bipodalico all’appoggio
  4. Per aumentare il controllo propriocettivo a livello spinale, vengono utilizzati esercizi in cui sono richiesti cambiamenti bruschi delle posizioni Esercizi pliometrici e movimenti rapidi su superfici diverse migliorano il funzionamento dell’arco riflesso di stabilizzazione dinamica.

ESERCIZI IN CATENA CINETICA APERTA E CHIUSA

Recentemente si è sviluppato un acceso dibattito riguardo all’utilizzazione, dopo la ricostruzione del LCA, di esercizi in catena cinetica chiusa anziché di esercizi in catena cinetica aperta.
Un esempio di esercizio in catena cinetica aperta è l’utilizzo dell’apparecchio di rinforzo muscolare leg extension.
Un esempio di esercizio in catena cinetica chiusa è l’utilizzo dell’apparecchio di rinforzo muscolare leg press.
Durante gli esercizi con catena cinetica aperta si è visto che negli ultimi gradi di estensione del ginocchio da 30° a 0° le sollecitazioni a carico del LCA sono notevoli. Da preferire a quest’ultimi gli esercizi a catena cinetica chiusa che non sovraccaricano il legamento operato e determinano uno stimolo buono per lo sviluppo muscolare il tutto con una buona sicurezza di non essere lesivi. Gli esercizi a catena cinetica chiusa inoltre danno la possibilità di eseguire una co-contrazione da parte degli ischiocrurali che si oppongono allo scivolamento anteriore della tibia sul femore. Nell’esecuzione degli esercizi a catena cinetica chiusa sarà importane anche l’angolo di flessione del tronco in quanto “più l’anca si flette più i muscoli che vanno dall’ischio alla gamba subiscono un allungamento relativo e si tendono”.

RIEDUCAZIONE PRE-OPERATORIA

Il periodo pre-operatorio è di fondamentale importanza perché permetterà alla persona traumatizzata di presentarsi alla data dell’intervento con un trofismo muscolare buono e quindi in grado di riabilitarsi più velocemente e meglio.
La ricostruzione del LCA dovrebbe essere rimandata fino a quando:

  • L’infiammazione e la tumefazione post-traumatiche non sono diminuite
  • Non si ha la completa articolarità
  • Il quadricipite non ha ri acquistato forza

Per raggiungere questi obiettivi bisogna iniziare la riabilitazione pre-operatoria poco dopo la lesione.
I metodi per controllare il dolore e la tumefazione, come la crioterapia, l’elevazione, la compressione e le terapie antinfiammatorie, sono utili per eliminare l’inibizione muscolare riflessa del quadricipite. Per il rinforzo del quadricipite, SLR (sollevare l’arto inferiore mantenendolo esteso) ed esercizi in catena cinetica chiusa, con l’aggiunta di elettrostimolazione e bio-feedback, sono utili per riattivare la muscolatura dell’arto inferiore, prevenire l’atrofia e promuovere l’aumento della forza.
Si può iniziare a fare attività propriocettiva al fine di incentivare il riallenamento neuro-muscolare.
Un infortunio difficilmente colpisce solamente una struttura, di solito altera sempre anche le strutture ad essa vicine e quindi non è vero che dato che mi sono rotto, posso fare tutto tanto è già rotto e non creo ulteriori danni. Al contrario ne creo parecchi perché se vicino alla struttura traumatizzata ve ne sono di parzialmente lese rischio di romperle del tutto. Un protocollo che è bene utilizzare, passato il periodo che serve a decongestionare l’articolazione lesa, deve utilizzare esercizi che facciano recuperare il range di movimento, che potenzino la muscolatura dell’arto interessato e che sollecitino il sistema propriocettivo.

LESIONI MENISCALI

I menischi, mediale e laterale, sono strutture fibrocartilaginee di forma semilunare interposti tra femore e tibia. Hanno 2 funzioni principali: aumentano la superficie di contatto femoro-tibiale contribuendo a stabilizzare il ginocchio e assorbono le sollecitazioni meccaniche dovute al carico.
Le lesioni di tali strutture si verificano maggiormente negli sport di contatto, spesso in associazione a lesioni legamentose. Nei soggetti anziani una lesione meniscale si può produrre in seguito a un banale movimento (rialzarsi da una posizione accovacciata).

Le lesioni si verificano principalmente in seguito a brusche torsioni del ginocchio o a movimenti in iperflessione o iperestensione che causano un “pizzicamento” del corpo meniscale. Il menisco mediale, più mobile, tende ad essere maggiormente coinvolto rispetto al laterale.
La sintomatologia può variare da una fitta intensa e localizzata all’interlinea arti- colare ad un male sordo e poco definito che si riacutizza in certi movimenti. Raramente le lesioni meniscali possono generare un vero e proprio blocco articolare che il più delle volte tende a risolversi con opportune manovre di basculamento in flesso-estensione. Questo è considerato un segno di gravità della lesione meniscale ma va anche differenziato dalla presenza di corpi mobili intra-articolari (ossei e cartilaginei) che possono produrre lo stesso effetto.
Altro segno importante è un gonfiore che tipicamen- te è di lieve entità e insorge a distanza di qualche ora dopo l’evento traumatico.
L’esame clinico può indirizzare il medico sul tipo di trattamento più opportuno ma è spesso necessario completarlo con una RMN.
Il trattamento conservativo prevede l’uso di terapie fisiche antalgiche, massoterapia selettiva per risolvere le contratture muscolari riflesse che spesso complicano il quadro clinico, tonificazione progressiva dei gruppi muscolari che possono aiutare il menisco leso a sopportare meglio il carico articolare, esercizi propriocettivi e di allungamento muscolare. In questa fase consigliamo l’utilizzo delle stampelle soprattutto se si tratta di una lesione del menisco laterale, che impone maggiore prudenza nella riabilitazione.
Una lesione periferica o traversa incompleta, peraltro frequente, può in questo modo diventare asintomaticha in poche settimane.
Il trattamento chirurgico delle lesioni meniscali potrà essere proposto per una lesione particolar- mente grave o solo dopo il fallimento del tratta- mento conservativo.

Trattamento chirurgico delle lesioni meniscali

Il trattamento chirurgico viene condotto per via artroscopica e consiste fondamentalmente in:

  • meniscectomia selettiva
  • sutura meniscale
  • impianto di protesi meniscale o scaffold
  • impianto di menisco da donatore o allograft

La scelta del trattamento chirurgico più opportuno deve tener conto dell’età del paziente e delle sue esigenze funzionali; l’integrità della cartilagine femoro-tibiale e la presenza di lesioni legamentose associate sono altri importanti fattori da valutare.

MENISCECTOMIA E SUTURA ARTROSCOPICA

Questo tipo di intervento prevede un ricovero brevissimo. Se le dimensioni e la sede della lesione lo consentono il chirurgo eseguirà una riparazione del menisco mediante una sutura, altrimenti dovrà asportare il frammento staccato regolarizzando il profilo meniscale. A circa 12-15 giorni di distanza si procede alla rimozione dei punti di sutura. La regolarizzazione di un menisco riduce le sue caratteristiche biomeccaniche di ammortizzatore del ginocchio che dovranno essere compensate da un perfetto recupero del tono muscolare e dalla coordinazione motoria. Per questo motivo ogni intervento chirurgico di carattere ortopedico deve necessariamente essere seguito da un serio e spesso prolungato impegno riabilitativo.
Un aspetto da enfatizzare con i pazienti sono i tempi di recupero che sono molto diversi se si tratta di meniscetomia mediale o laterale. Il menisco mediale è meno soggetto al carico rispetto al laterale per una questione puramente anatomica, di congruenza articolare. Pertanto dopo una meniscectomia mediale è spesso possibile tornare a praticare uno sport ad alto impatto anche dopo 2-3 settimane.
Lo stesso intervento eseguito sul menisco laterale richiede un recupero molto più lento e controllato che non di rado supera i 3 mesi. Il rischio, accelerando troppi i tempi, è quello di creare una lesione cartilaginea che implicherebbe una interruzione dell’attività sportiva molto più lunga.

IMPIANTO DI PROTESI MENISCALE O SCAFFOLD O CMI

È una tecnica chirurgica che è stata preceduta da una lunga fase sperimentale. Attualmente è sempre più diffusa e dà risultati molto promettenti. Consiste nell’introduzione per via artroscopica di una protesi meniscale collagenica multilamel- lare in grado di favorire una rigenerazione di tessuto meniscale nuovo ritardando così l’insorgenza dell’artrosi. Il paziente ideale deve avere un residuo meniscale al quale ancorare lo scaffold, assenza di artrosi e lesioni cartilaginee.

IMPIANTO DI MENISCO DA DONATORE O ALLOGRAFT

La tecnica chirurgica prevede l’impianto di un menisco ottenuto da un donatore che viene suturato all’interno del ginocchio del ricevente. Come nel caso dello scaffold me- niscale i tempi di integrazione biologica impongono una certa cautela e tempi di recu- pero molto più lunghi rispetto alla semplice meniscectomia o alla sutura meniscale.

RIABILITAZIONE POST OPERATORIA

La prima fase di riabilitazione dopo l’intervento è interamente dedicata alla remissione della tumefazione chirurgica ed alla fase chimica del ginocchio con uso di FANS e ghiaccio. L’attenzione per il recupero della mobilità rimane prioritario ma non imperativo. La piscina, una volta levati i punti, è un’opportunità in più per accelerare la ripresa funzionale senza correre nessun rischio.
In una seconda fase si lavora per raggiungere l’ampiezza completa del movimento sia in flessione che in estensione: un ginocchio perfettamente esteso è indispensabile per una corretta deambulazione e per il ritorno alla vita lavorativa/sportiva, che avviene generalmente entro il primo mese dopo l’intervento per la semplice meniscectomia e intorno al secondo nella sutura meniscale.
I tempi di carico e di ritorno allo sport negli scaffold e negli allograft vanno concordati con il chirurgo di volta in volta.
Il successivo recupero della forza muscolare e di una buona coordinazione neuro-motoria rappresenta un momento fondamentale per il ritorno all’attività sportiva. Questa viene preceduta da una fase riabilitativa in campo da gioco con rieducatori appositamente formati per valutare la corretta esecuzione dei gesti tecnici specifici per ogni sport.
La fase in campo presuppone un recupero completo della forza muscolare e pertanto è corretto sottoporre il paziente a dei test specifici prima di consentire ad accedervi.
Un ulteriore perfezionamento del programma di ripresa agonistica ci è stato concesso negli ultimi tempi, dall’esecuzione del test di soglia nel quale si valutano le capacità aerobiche dell’atleta e si può preparare un protocollo personalizzato di allenamento in base alle sue caratteristiche metaboliche e cardio-respiratorie.

Dott. Mulè Claudio

error: Content is protected !!