Il Running
Corro perché se non lo facessi sarei pigro e triste e spenderei il mio tempo sul divano. Corro per respirare l’aria fresca. Corro per esplorare. Corro per sfuggire l’ordinario. Corro… per assaporare il viaggio lungo la strada. La vita diventa un po’ più vivace, un po’ più intensa. A me questo piace.
(Dean Karnazes, ultramaratoneta statunitense)
INTRODUZIONE
E così siamo nati per correre… è sufficiente avere abbigliamento ed accessori giusti, iniziare con progressività per poi aumentare l’intensità degli allenamenti fino ad un livello che riteniamo soddisfacente ed il gioco è fatto.. c’è solo un piccolo dato da tenere in considerazione.. 3 runner su 4 ogni anno devono interrompere la loro attività per un periodo più o meno lungo per infortunio; cioè Il 75% dei runner si infortunano almeno una volta in un anno.
Quando parliamo di infortunio nel corridore non dobbiamo pensare ad una distorsione di ginocchio o lussazione di spalla come comunemente accade negli sport di situazione. Il dolore nella corsa tendenzialmente si presenta silente e solo in alcuni contesti della giornata per poi aumentare con il passare dei giorni fino a diventare limitativo non solo all’attività ma anche a semplici schemi motori quotidiani. Questa è una comune dinamica di dolore da sovraccarico; restano comunque svariate variazioni soggettive.
E’ evidente come ci sia qualcosa di sbagliato quindi in questa comune idea che correre sia scontato e semplice per tutti…che sia una naturale prerogativa del nostro “essere umani”.
La verità è che ci siamo dimenticati come si corre.
Se consideriamo da un punto di vista storico l’evoluzione della corsa capiamo molto di come questa nostra prerogativa sia in continua evoluzione e non ci sia niente di scontato in merito.
Fino agli anni settanta chi correva lo faceva solo per performance sportive. Ora si corre per mille altri motivi, magari si inizia per dimagrire o per tornare in forma, poi diventa una necessità psicofisica, diventa un momento di socializzazione, diventa un momento di affermazione sociale sia da un punto di vista di immagine, che dei risultati ottenuti.
In Italia, i dati rilevati, ci dimostrano che 6 milioni di persone (di cui il 55% uomini ed il restante donne) praticano la corsa con regolarità, di cui il 27% appartenenti alla fascia di età fra i 25 e 34 anni, il 25% fra i 35 e 44, il 21% fra i 45 e 54, e l’8% sopra i 55.
TDS Archives – Solid Q Worldwide – “Running Big Data”, http://www.solidq.com/it/running-big-data/
http://www.runlikeneverbefore.com/italiani-popolo-di-runners-numeri-e-curiosita-sulla-corsa/
La pratica sportiva in Italia (ISTAT, 2017), dal sito https://www.istat.it/it/archivio/204663
I numeri dello sport (CONI Servizi, 2015), dal sito http://www.coni.it/it/coni/i-numeri-dello-sport.html
STORIA ED EVOLUZIONE DEL RUNNING
La corsa, nella nostra specie, nasce come strumento di movimento orientato alla caccia ed in particolare ad una tecnica di caccia definita “per sfinimento”.
In effetti in natura troviamo predatori molto più inclini alla velocità di noi, ma soprattutto prede molto più rapide e veloci dell’uomo. La caratteristica però di tali animali è quella di esprimere molta velocità in brevi periodi di tempo. L’uomo invece sembra dimostrare una impareggiabile abilità nelle corse di lunga distanza e bassa velocità. Da questa e altre caratteristiche, più legate alla nostra conformazione, gli antropologi hanno convenuto che in una determinata fase della nostra storia evolutiva l’uomo ha iniziato ad usare la corsa come sua peculiare caratteristica di caccia. I nostri antenati erano in grado di isolare una preda dal branco e farla scappare in maniera controllata per molti chilometri. La caccia dunque si concludeva con il crollo fisico dell’animale.
Con la nascita dell’agricoltura, dell’allevamento e delle armi da caccia questa necessità motoria viene lentamente trascurata, perlomeno riguardo al suo scopo di procurare del cibo. Viene mantenuta come elemento di competizione nelle varie epoche dell’uomo moderno ma niente più.
Quindi fino agli anni 60 e 70 del secolo precedente la corsa era, come dicevamo, solo legata alla performance sportiva e non sarebbe mai venuto in mente ad un contadino, dopo dieci ore nei campi, di mettersi delle scarpe sportive per correre un po’. Con il benessere diffuso occidentale e con la progressiva evoluzione dell’uomo verso la sedentarietà nasce una nuova esigenza fisiologica e mentale… il movimento fine a se stesso! Questa necessità verrà appagata con la nascita del jogging nei primi anni sessanta.
Era il febbraio del 1962 quando comparve un articolo sul New Zealand Herald che riportava la vicenda di un gruppo di ex atleti e appassionati abituati a trovarsi una volta alla settimana per correre a fini salutistici e di socializzazione. Nel 1966 Bill Bowerman dell’università dell’Oregon pubblico il libro “Jogging” in seguito ad una esperienza proprio con il gruppo di runner neozelandesi. Bowerman stilò programmi di allenamento per uomini e donne e introdusse i valori benefici della corsa come esercizio per tutti.
Fu proprio lo stesso Bowermann, che da li a breve avrebbe fondato la Nike, a dare inizio anche alla rincorsa tecnica per migliorare le calzature legate alla corsa. La storia vuole che Bowermann, utilizzando la piastra per i waffle della moglie, fu il primo a creare una scarpa da running con suola in gomma ammortizzante (la Nike cortez). Questo diede inizio ad una vera rivoluzione non solo relativa ai prodotti per correre ma anche nel modo in cui corriamo visto che la suola ammortizzante concesse ai runner dell’epoca di atterrare di tallone senza percepire il contraccolpo con il suolo. Al momento e negli anni successivi questa innovazione sembrò essere una grande miglioria, anche se in un secondo tempo si manifesterà una arma a doppio taglio.
Fu così che venne dato origine ad una disciplina che oggi conta milioni di utenti in tutto il mondo e che fa registrare fatturati a nove zeri.
DINAMICA, ANATOMIA E FISIOLOGIA DELLA CORSA
Quando dobbiamo muoverci l’apparato locomotore inizia ad attivarsi con il cammino; meccanica di spostamento in cui abbiamo sempre contatto con il suolo almeno con un arto. Quando chiediamo al nostro apparato locomotore più velocità la nostra deambulazione diventa saltellata. Ciò significa che esiste un momento, durante l’avanzamento, in cui, fisicamente, non tocchiamo il suolo. Questa è la fondamentale differenza tra correre e camminare. Sembra che superata una certa velocità (circa i 7 km/h) sia più economico correre che camminare; cioè usare gli arti inferiori come fossero due molle piuttosto che pendoli inversi come nel cammino.
Se volessimo elencare i muscoli interessati maggiormente dovremmo parlare dell’intera catena estensoria antigravitaria dell’arto inferiore (glutei, quadricipiti e tricipiti surali). Resta comunque una visione alquanto limitante visto lo schema motorio complesso che la corsa prevede. Ciò significa che sono coinvolti molto anche i flessori del ginocchio e dell’anca, oltre a tutti i muscoli del core e degli arti superiori.
L’attivazione cardiocircolatoria e metabolica invece dipende molto dall’intensità della corsa. Un centometrista utilizza solo un metabolismo anaerobico (produzione di energia senza utilizzo di ossigeno) mentre oltre i due minuti di corsa continuativa l’organismo inizia ad usare un metabolismo misto in cui subentra la necessità di ossigenazione muscolare. La corsa che intendiamo noi quindi, il jogging per capirsi, è una attività prevalentemente aerobica. Le fonti di energia utilizzate sono primariamente carboidrati e lipidi e, in maniera particolare, possono diventarlo anche le proteine. Queste sostanze vengono fondamentalmente ossidate e dalla loro ossidazione produciamo energia.
Il calcolo per il consumo calorico nella corsa è più o meno 1kcal per kg di peso corporeo al chilometro (chi pesa 65 kg e corre per un km consuma circa 65 kcal). Se il mio km lo corro veloce o lento sembra cambiare poco, poiché la velocità è inversamente proporzionale al tempo impiegato per percorrerlo.
Da un punto di vista della tecnica la corsa va considerata come una successione di movimenti tutti uguali; se volessimo analizzare un singolo movimento andrà valutato il momento trascorso tra un appoggio di un piede e il contatto successivo con il suolo dello stesso piede. Scomponendo un singolo ciclo di corsa otterremo quattro fasi: una fase di recupero aereo del piede (Swing 30% del ciclo), una fase di contatto (Stance 40% del ciclo) e due fasi di volo simultaneo (Floating fase 15% + 15% del ciclo).
La fase di floating si conclude nel momento del contatto al suolo del piede. Questo è uno degli argomenti più dibattuti degli ultimi anni. Come accennato precedentemente il contatto di tallone è pensabile solo se si indossano calzature con una buona ammortizzazione; è abbastanza impensabile impattare di tallone correndo a piedi scalzi o con calzature minimaliste. Questo deve orientarci verso la deduzione che per tutta la nostra storia evolutiva l’uomo ha sempre corso atterrando di avampiede o mesopiede e solo da qualche decennio corriamo atterrando di tallone.
Se volessimo disegnare una tecnica di corsa perfetta possiamo partire quindi da questi concetti: il piede dovrebbe atterrare più o meno sotto l’anca e dovrebbe toccare il suolo con la parte centrale-anteriore della suola. Al momento del contatto con il suolo l’arto inferiore è leggermente flesso, mentre tibia e perone sono perpendicolari al suolo. Il tronco è dritto con spalle aperte e leggermente sbilanciato in avanti come se dovessimo perdere l’equilibrio da un momento all’altro. Le braccia eseguono un movimento a pendolo mantenendo l’angolo del gomito circa a 90°. Questo è quello che gli esperti scrivono sui libri.
Esistono delle caratteristiche peculiari soggettive che identificano il nostro modo di correre e questo lo vediamo, per esempio, se analizziamo la tecnica di corsa dei primi dieci maratoneti olimpici. Se facessimo questa analisi dovremmo aspettarci le analisi della corsa di tutti e dieci sovrapponibile a quella didattica e simile a quella che leggiamo sui libri. Invece ognuno muove le braccia alla sua maniera, ha uno swing (rotazione del piede in aria) un po’ diverso ecc… Le caratteristiche identiche probabilmente saranno un atterraggio di avampiede e il ritmo che supererà i 180 appoggi al minuto.
La conclusione quindi è che tutti corriamo alla nostra maniera ma è necessario mettere delle sicurezze riguardo alla salute, proprio in virtù dei dati sugli infortuni.
LE CALZATURE
Abbiamo accennato a come il mercato delle calzature abbia modificato il nostro modo di correre. L’atterraggio con il tallone c’è concesso per la capacità ammortizzante delle suole riempite di gel, aria, molle o altre tecnologie varie. Studi eseguiti su pedana di forza dimostrano come il contatto di tallone abbia un picco di forza che può arrivare a svariate volte il peso del runner.
Quando parliamo di calzature i concetti più ricorrenti che sentiamo sono quelli di pronatore o supinatore. Rispettivamente: un piede che appoggia nella parte interna rispetto ad un piede che ha maggior contatto nella parte esterna. Se analizzassimo la fisiologia dell’appoggio plantare nel cammino notiamo che il piede, dopo il primo contatto del tallone al suolo, inizia il suo appoggio seguendo l’arco laterale (parte esterna). Appoggerà prima il quinto raggio e la quinta testa metatarsale e poi la prima testa metatarsale e l’alluce.
Quindi il piede, durante l’appoggio nel cammino, nella tipologia di contatto che inizia con la tuberosità calcaneare, avrà una prima fase di supinazione, una seconda fase di pronazione per poi supinare nuovamente nella fase di distacco dal suolo. Il concetto di “essere pronatore o supinatore” è legato a quanto la persona si attesti nella prima o nella seconda fase. Possiamo quindi affermare che essere pronatore o supinatore è parzialmente legato alla conformazione genetica del nostro scheletro ma spesso dipende da uno schema motorio che inevitabilmente influenza anche la morfologia ossea. Vero è che data la complessità del piede troviamo molte soggettività, nella pronazione per esempio andrebbe fatta la distinzione tra valgismo tibiotarsico o crollo della volta plantare, comunque, lavorare sul rinforzo dei muscoli del piede, è una strategia che ha sempre senso.
Per quanto riguarda la corsa il concetto è simile, se non che, prendendo contatto con il suolo di avampiede o mesopiede, si riduce drasticamente il rischio di eccedere in pronazione. In poche parole proniamo il piede perché appoggiamo prima il tallone.
Questo prologo è d’obbligo se vogliamo parlare di scarpe. Se decido lentamente di modificare la mia tecnica di corsa per tornare ad una corsa più naturale, il ragionamento su scarpa antipronazione o supinazione perde di importanza (sarebbe come ragionare su qual è il salvagente migliore anche se abbiamo imparato a galleggiare); cercheremo di valutare altre caratteristiche delle scarpe che possano rendere più comoda la calzata. Ad esempio l’alloggiamento della metà anteriore del nostro piede che deve essere comodo e concedere a tutte le dita libertà di movimento per esprimere la loro capacità di gestione dell’equilibrio corporeo e di percezione delle asperità del terreno.
Le variazioni soggettive sono innumerevoli nella scelta della calzatura giusta per correre; sarebbe prolisso e borioso scrivere tutte le minime variabili che possono incidere sulla scelta della scarpa (quanto corri, dove corri, quanto pesi, che tipo di piede hai ecc…). Qui di seguito si riporta qualche semplice consiglio che metta delle sicurezze riguardo la salute del piede all’interno di una calzatura.
Consigli utili per l’acquisto della scarpa:
- acquistate la scarpa in base alla lunghezza del vostro piede e non del numero di taglia. Molti brand hanno calzate diverse e quindi un 43 Saucony può essere diverso da un 43 Mizuno.
- Acquistate la scarpa di uno a due cm più grande del vostro piede. Soprattutto su lunghe distanze in seguito all’aumento della temperatura, degli impatti con il suolo, del maggior afflusso di sangue, il piede aumenta in volume e in lunghezza. Le unghie nere sono il risultato di una scarpa troppo corta o legata male.
- L’acquisto di qualsiasi cosa è un processo mentale estremamente emotivo; questa emotività è legata a doppio filo all’estetica. Nell’acquisto delle scarpe si consiglia di calzare la scarpa per un paio di minuti e camminare. Molto utile sarebbe la possibilità di provarla correndo su un tapis roulant. Solo dopo aver scelto il modello in base alla comodità possiamo metterci davanti ad uno specchio e valutarne l’estetica.
RUNNING REVOLUTION
Quella più soggetta a studi e ad analisi resta quindi la fase di atterraggio, probabilmente la causa principale di tutti gli infortuni ai quali, come abbiamo visto, oggigiorno assistiamo. Secondo il mio personale parere non è importante che parte del piede appoggi (certo appoggiare l’avampiede mi da delle sicurezze) ma che traiettoria ha il piede al momento del contatto con il suolo. Diciamo che il primo obiettivo del mio atterraggio deve essere la riduzione dell’impatto con il terreno, se il piede mentre atterra ha una traiettoria da dietro in avanti (cioè la mia fase di swing è pendolare), oltre a dover rinunciare alla capacità ammortizzante della caviglia (atterraggio di tallone), avrò un forte momento frenante legato all’impatto, poiché il contatto avverrà qualche decina di centimetri avanti alla proiezione del mio baricentro. Se invece la mia fase di swing è efficiente e circolare il piede al momento del contatto con il suolo avrà una direzione da avanti a dietro. Per capirci il piede, a contatto con il suolo, dovrebbe comportarsi come se stessimo spingendoci in uno skateboard. Il movimento quindi lo chiameremo trazione e non più spinta. Il movimento del piede sarà la risultante di una traiettoria circolare e non pendolare.
INFORTUNI RICORRENTI
La pratica del runner produce una serie di sofferenze che, come dicevamo prima, impongono la sospensione dell’attività. Questo è un fenomeno assolutamente comune, ma, l’interruzzione stessa è anche il primo motivo per il quale si incorre in nuovi infortuni.
Il runner però non incorre solamente in problematiche legate a sofferenze di tessuti ma va incontro anche a vere e proprie lesioni come nel casi delle fratture da stress (non semplici da riconoscere) o lacerazioni muscolari. Senza entrare nel merito di un elenco più o meno trasversale delle comuni lesioni del runner a carico degli arti inferiori, ma anche della colonna lombare, possiamo subito dire che la maggior parte di tutti questi infortuni non comparirà con un buon intervento rispetto le istruzioni alla corsa ed il loro esatto dosaggio.
ANALISI FATTORI PREDISPONENTI
Il laureato in scienze motorie, specializzato nell’analisi della corsa, è una figura in grado di indagare alcune parti del corridore e del suo gesto capaci di far emergere alterazioni legate ad infortuni più o meno probabili.
L’analisi comprende la verifica dell’angolo d’apertura e chiusura dell’anca, del ginocchio e della caviglia nel momento del contatto a terra e nella fase aerea durante la corsa; le deviazioni sul piano frontale di bacino ginocchio (eventuale valgo) e piede (prono-supinazione); test specifici per le compenteze pliometriche; test specifici per la rispondenza alle sollecitazioni di interesse muscolare; test di libertà articolare (anche un difetto di flessione all’alluce produce conseguenze significative a tutta la catena compresa la colonna lombare) ed infine l’esame posturale.
TERAPIA
Il runner ha delle problematiche specifiche ma non ha delle terapie riservate. Tutto lo scindibile della conoscenza medica è a disposizione per poter risolvere il problema contingente. La valutazione accurata resta lo strumento più importante dal momento in cui molte problematiche si instaurano in modo subdolo ed insidioso e non rivelano le loro parti e caratteristiche se non che in una situazione conclamata.
Le lesioni muscolari ovviamente possono giovare della terapia manuale, della TECAR e dell’esercizio specifico. Le sofferenze tendinee verranno bilanciate con la modifica dei carichi e delle direzioni, vi si può intervenire in molti modi ma, spesse volte, si può approfittare della tecnologie delle ONDE D’URTO. In ogni caso, ed ovviamente soprattutto nei casi in cui è coinvolto il tessuto osseo o articolare, la sospensione dei carichi, la durata dell’astensione, il riordino degli stessi sono gli strumenti dai quali non si può prescindere.
ALLENAMENTO SPECIFICO
Il momento di contatto al suolo del piede è sicuramente un elemento fondamentale da analizzare, ma ne esistono molti altri che spesso vengono tralasciati. Valutazioni che non prevedono quanto devo correre, a che velocità o con che frequenza settimanale ecc…, cioè tutti concetti riguardanti la quantità; però deve esserci la qualità dello schema motorio; deve esserci la capacità muscolare di sostenere il gesto atletico.
Uno schema motorio che abbiamo dimenticato e modificato con la tecnologia ma che, se vogliamo utilizzare, è indispensabile riallenarlo. Per far questo gli approcci saranno di natura globale ma anche analitica. Ciò significa smontare questo schema ed allenarne le singole fasi per poter ricostruire una tecnica di corsa più performante e meno rischiosa.
Eseguire dei test fisici ci orienta molto riguardo la possibilità di correre in sicurezza o meno. Un equilibrio di almeno trenta secondi su un arto ad occhi chiusi o la capacità di alzarci da una sedia con una gamba sola per una decina di volte ci danno garanzie riguardo la capacità degli arti inferiori di gestire in maniera sicura lo schema motorio della corsa.
Il programma running di Fisioterapia Mulè si orienta su tre linee di allenamento:
- Rinforzo della muscolatura specifica ad un gesto di corsa modificato
Se cambiamo la meccanica di corsa inevitabilmente cambiano anche i muscoli interessati o cambia semplicemente il loro impiego. Per non incorrere in infortuni da sovraccarico, prima di intervenire sullo schema motorio, modificandolo, è opportuno fare una valutazione della muscolatura che si andrà ad interessare per portarla ad un livello di performance sufficiente. - Apprendimento delle componenti del gesto motorio
Smontare il gesto per conoscere ed allenare le singole componenti è l’obiettivo delle andature. - Lavoro sulle sensazioni
La corsa è uno gesto fisico ripetuto e stereotipato; utilizzare immagini mentali per percepire l’obiettivo del cambiamento è molto utile. Eseguire piccoli tratti di strada con l’idea fissa su di una sensazione, porta la corsa ad essere un movimento più spontaneo.
È evidente che una modificazione della tecnica di corsa comporta un periodo di adattamento dei tessuti al nuovo schema motorio. Se io chiedessi ad un corridore abituale sui dieci chilometri di spostare il punto di contatto del piede verso la punta otterrei probabilmente un sovraccarico tendineo del tallone. Un eventuale cambiamento va fatto in maniera molto graduale e con esercizi di compenso per migliorare la prestazione muscolare anche sotto altri punti di vista.
«Quando insegno questa tecnica e chiedo a qualcuno come si sente, se dice “alla grande” io rispondo “dannazione”, perché significa che non sta cambiando stile di corsa. Il cambiamento deve essere disagevole. Bisogna attraversare un periodo in cui non sai più correre male ma non sei ancora in grado di correre bene. Non stai solo adattando le tue abilità, ma anche i tuoi tessuti; stai attivando muscoli che non hai mai usato in tutta la tua vita. Poi però, una volta modificato lo stile, la sequenza e la trama intima dei tessuti coinvolti (in particolare quelli dei tendini) si potrà pensare, e ci si potranno permettere, un paio di scarpe senza quelle pesanti, compromettenti e ormai inutili protezioni ed ammortizzazioni.
CONCLUSIONI
Correre fa bene!! E questo è un dato di fatto. Ma come tutte le cose che facciamo fanno bene se fatte nel modo giusto. Nuotare fa bene, ma se nuotando eseguo movimenti sbagliati posso sovraccarica la spalla, il collo o la schiena. Nell’immaginario comune però prendere lezioni di nuoto è normale ma prendere lezioni di corsa non è neanche valutato. Affidarsi ad un professionista qualificato per impostare una tecnica corretta e mettere delle sicurezze riguardo alla salute è una esattezza che diventerà presto, come per gli altri sport, una regola.
Quello che resta, comunque, è che la corsa è un piacere e tale deve rimanere. Bisogna vincere qualche battaglia contro la pigrizia e la capacità di raccontarci delle scuse. Ma, se mai la determinazione lo concedesse, quello che c’è aldilà della collina è un miglioramento della vita in tutte le sue innumerevoli sfaccettature. Nel mondo degli amatori ormai si chiama: “una seduta di psicoterapia autoindotta”.
Dott. Alberto Fabbro
FISIOTERAPIA MULE’