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Tendinopatie

Dolori ai tendini sono comuni e spesso creano sintomi di lunga durata con dolore e disfunzione che impattano negativamente su lavoro e prestazione sportiva.

Il recupero incompleto delle lesioni tendinee può portare a disabilità e dolore cronico, tuttavia molte persone continuano il lavoro e lo sport nonostante il problema. Tutto questo è lo specchio di una patologia sottostimata: solo il 30 % riceve un trattamento raccomandato mentre il 20% hanno cure non necessarie o potenzialmente dannose.

In medicina i tendini sono sempre stati un dilemma e hanno portato a molti insuccessi terapeutici a causa della complessità del quadro ma Negli ultimi anni la nostra comprensione della tendinopatia è cresciuta, ora sappiamo che in realtà non è un processo infiammatorio (non sono tutte tendiniti!) e che il carico gioca un ruolo importante.

Dal 2010 cambia il paradigma e abbiamo una rivoluzione. Jill Cook e Craig Purdam, due fisioterapisti australiani, identificano una più completa spiegazione del dolore tendineo e cambiano la prospettiva: viene abbandonata la vecchia visione della tendinite e si inizia a parlare di tendinopatia con netta accezione istologica.

FISIOLOGIA E ISTOLOGIA TENDINEA

Il tendine è formato da una componente cellulare e dalla matrice extracellulare (MEC).

Componente cellulare: costituita da tenociti che hanno il compito di produrre tutti gli elementi della MEC.          Essi consentono un rapido scambio di ioni e metaboliti tra le cellule, che possono avere un effetto inibitorio o stimolante in risposta al carico.

Matrice extracellulare: fibre e sostanza fondamentale i suoi elementi. Le prime sono per 85% fibre collagene e 2% fibre elastiche. Invece la sostanza fondamentale è composta da acqua, proteoglicani e glicoproteine.
Il collagene è disposto in fibre parallele e possiede un’elevata resistenza tensionale e permette fino al 4% di allungamento grazie alla componente elastica. Fino all’8% riesce a sopportare tensione senza rottura di fibre mentre oltre l’8% il tessuto può andare incontro a micro-rotture delle fibre di collagene.

Quindi un tendine normale risponde ad un’carico ottimale che permette adattamento e quindi rinforzo. Ma se abbiamo overload o unload si producono cambiamenti progressivi e spesso in fase iniziale asintomatici che modificano la struttura tendinea.

Il tendine inoltre, in situazioni fisiologiche, ha scarsa presenza di innervazione e vascolarizzazione.

FISIOPATOLOGIA DEL TENDINE

Tendinopatia è il cambiamento della struttura del tendine a livello cellulare e della MEC. Il processo patologico si suddivide in 4 fasi;

1) cambio funzione cellulare: iperattivazione e aumento numero dei tenociti che cambiano il tipo di collagene prodotto (meno resistente alla tensione).

2) aumento sostanza fondamentale: inversione del tipo di proteoglicani presenti nella sostanza fondamentale, da più piccoli (decorina) a più grandi (aggrecan) che sintetizzano maggiore quantità di acqua.

3) Rottura dei fasci di collagene: il nuovo collagene prodotto è meno resistente e anche a causa dell’aumento di acqua va in contro a rottura della struttura per ridotta capacità di assordbire forze.

4) Neovasculogenesi: i cambiamenti strutturali permettono l’insinuazione di nuovi vasi e nervi ma che non hanno capacità riparativa poiché disorganizzati.

Questo schema è molto chiaro e permette di categorizzare una fondamentale distinzione nel dolore tendineo: le fasi 1 e 2 sono reversibili e associati ad tendinopatia reattiva mentre 3 e 4 sono irreversibili e comprese nella tendinopatia degenerativa.

Ovviamente la suddivisione non è sempre così ben definita e possiamo avere delle situazioni intermedie tra varie fasi del processo patologico che rendono complessa e difficile una diagnosi precisa.

ORIGINE DEL DOLORE

Non si conosce l’origine esatta ma è sicuramente diversa da qualsiasi altra forma di dolore cronico.
Alcuni autori suggeriscono che sia legato ad un aumento delle fibre sensitive nel tendine (nei nuovi interstizi prodotti dalla tendinopatia si costituisce neo-vasculogenesi accompagnata dalla innervazione propria inserendo tessuto sensibile dove non dovrebbe essercene); altri che i tenociti alterati producono sostanze irritanti per il tendine stesso. Ma una delle ipotesi più plausibili è legata al fatto che molte cellule attivate spingano con l’edema il perinevio e come reazione alla pressione avvertiamo dolore. Così il tendine d’Achille la mattina è dolente, finché si compiono alcuni passi che meccanicamente svuotano l’edema.

Quello che è certo è che molti studi scientifici dimostrano assenza di processo infiammatorio (tranne che nella primissima fase ma non nella propagazione del processo patologico) nelle tendinopatie. Infatti l’esame istologico è negativo per presenza di neutrofili e leucociti, i principali mediatori chimici di infiammazione così come gli esami ematologici non rilevano variazioni dei normali mediatori dell’infiammazione come VES e PCR.

Ecco perché si è passati dalla definizione di tendinite o tendinosi, dove il processo infiammatorio è preponderante, a tendinopatia (problema meccanico).

Il dolore tendineo non si espande mai, fa male esclusivamente in un punto preciso. È estremamente diagnostico individuare il punto esatto con la palpazione digitale (o indicato dal paziente stesso). Se il paziente indica a mano aperta o col palmo non è sicuramente dolore tendineo. Tutto ciò vale tranne che per il tendine del medio e piccolo gluteo, che proietta alla gamba causa la sua intima relazione con la borsa trocanterica che è molto innervata.

ESAMI STRUMENTALI

Con l’ecografia nel tessuto reattivo si riconoscono lievi curve nel decorso tendineo date dalla spinta dell’edema ed un certo contenuto di collagene. Nel tendine degenerato non c’è collagene all’interno (nello spazio occupato dalla degenerazione) ma molti vasi. L’ecografo invia un segnale verticale e ne legge la restituzione. Questo fenomeno nel tendine reattivo non incontra ostacoli, mentre nel tendine degenerativo l’ecografo legge un buco nero perché il tessuto è così mal-disposto e disorganizzato che il segnale viene riflesso e sparato altrove.

La RM non vede né collagene né vasi per cui l’eco è molto più sensibile.

Radiografie, TAC o altri tipi di strumenti diagnostici non sono indicati per valutare i tendini.

Esiste in laboratorio scientifico, ma non ancora a disposizione per la clinica, un’ecografo UTC che, micro-elettronicamente mette in evidenza le cellule irritate, quelle degenerate e quelle sane in modo distinto.

FATTORI DI RISCHIO

Possiamo suddividere i fattori di rischio in 5 categorie:

– overuse: il carico eccessivo sembra essere il principale fattore eziologico della tendinopatia. Quindi un allenamento troppo intenso per durata o tipologia (es. un decorso non progressivo tipico di chi svolge attività fisica molto intensa ma saltuariamente alterando periodi di riposo assoluto, come “i calciatori della domenica”) ma anche attività lavorativa troppo ripetitiva e stressante (in realtà tutte le “use category”, ovvero nuovo uso, mal-uso, non uso troppo uso, abuso…) o semplicemente un trauma.

– alterata funzione degli arti: debolezza muscolare, difetti di coordinazione (es. la corsa a papera), incapacità di assorbire forze di carico/reazione

– fattori biomeccanici: rigidità articolare (soprattutto di caviglia ed alluce), ma anche ipermobilità;  ridotta flessibilità muscolare, allineamenti non corretti (in ciò non è molto importante la postura del piede.

– fattori intrinseci: sesso femminile meno a rischio per produzione di ormoni estrogeni (protettivi per il tendine), fenomeno invertito in caso di menopausa (specie se inindotta per sotira di cancro al seno); allo stesso tempo però le donne, col bacino più largo, hanno una maggior compressione del tendine del medio gluteo. Può dare sintomi anche solo stando in piedi. Uno sport che stimola molto il tendine del medio gluteo è la marcia o la danza del ventre per la donna; sovrappeso in particolare se il BMI (body mass index) è superiore a 28; età, infatti nella terza decade vi è un grande aumento nei maschi; patologie concomitanti come ad esempio il diabete (in particolare il tipo 2); l’iper-colesterolomia.

– fattori estrinseci: terreni non ottimali, equipaggiamento non idoneo (calzature…), errori di allenamento.

– Importante valutare la strategia coordinativa con la quale compie il movimento (magari salta come un pollo con l’uso delle braccia o scende in modo pesante come un elefante che casca).

– Patologie generali, Kennus, Maffelli, artrite reumatoide o siero-negativa (morbo di Chron), autoimmuni sistemiche, spondilite anchilosante (In questi casi attenzione che non sia simmetrico il problema).

– Il collagene di tipo 5 predispone alle tendinopatie. La sua frequenza e disposizione è genetica (mutazione, polimorfismo).

– La pubertà è un fattore predisponente (14/18 anni) alle tendinopatie.

– Il diabete è terribile per i tendini , il collagene si sovrappone e si lega molto. Il tendine diventa rigido e non accumula energia per funzionare da molla. Così anche l’insulino-resistenza.

– La donna sviluppa più facilmente tendinopatia dopo la menopausa(gli estrogeni sono dei protettori del tessuto tendineo). Lo stesso discorso vale nel momento in cui, per un tumore al seno, la donna è costretta ad utilizzare gli inibitori agli estrogeni.

– Gli antibiotici GRAM – (levofloxacina ed altri che contengono fluoriquinoloni) sono pericolosi anche in soli 6 giorni. Si consiglia quindi di non fare attività.

TIPI DI TENDINOPATIA

Come accennato in precedenza (vedi “fisiopatologia del tendine”) possiamo avere 3 diversi stadi di tendinopatia, ed utile pensarli come un continuum invece di 3 fasi distinte.

  1. Tendinopatia reattiva: (spesso riguarda atleti giovani (20-30 anni) in genere riguarda un tendine che sta rispondendo ad un rapido aumento nel carico. Per i corridori questo spesso significa un grande aumento in chilometraggio, una riduzione di giorni di riposo o un cambiamento nel tipo di allenamento (ad esempio, introduzione di percorsi in collina, lavoro di velocità o cambio della calzatura utilizzata). Può anche essere da trauma diretto ad un tendine. Si pensava che questa reazione implicasse presenza di infiammazione ma ora sappiamo che non è così. Il tendine spesso si gonfia, processo legato all’aumento di acqua nella matrice del tendine (i tendini sono costituiti da fibre collagene incorporate in una matrice extracellulare) e non a prodotti infiammatori. In una tendinopatia reattiva strutturalmente il tendine rimane intatto ma c’è una minima modificazione dell’integrità del collagene, a favore di un aumento della quantità cellulare, non adatta a sopportare sollecitazioni meccaniche come lo è il collagene. Quello descritto è di solito un processo reversibile. Cook e Purdam (2009) lo descrivono come: “un adattamento a breve termine al sovraccarico che ispessisce il tendine, riduce lo stress che il tendine è in grado di sopportare e aumenta la rigidità”.
  2. Tendinopatia degenerativa: spesso pazienti adulti (30-50 anni), con lunga storia di sintomi. Rappresenta la risposta del tendine al sovraccarico cronico. E’ di solito la fase che segue la tendinopatia reattiva nel caso in cui il tendine continui a esser eccessivamente caricato. Ci sono molteplici cambiamenti della struttura del tendine che lo rendono meno efficiente a gestire il carico. Il collagene diventa disorganizzato e la matrice perde la composizione fisiologica e aumentano vascolarizzazione e ricrescita neurale. Il tendine può apparire ispessito e nodulare con il rischio di rottura.
  3. Tendinopatia reattiva su base degenerativa: tipica di pazienti anziani con storia di riacutizzazioni legata a sovraccarico saltuario. Il quadro sarà di irritazione per un breve periodo poi prevale la perdita di funzionalità. Questo perché parti del tendine possono degenerare mentre altre rimangono piuttosto normali. Le aree “normali” non degenerate del tendine possono rispondere come qualsiasi altro tendine ad un carico eccessivo e entrare in una fase reattiva.

Se abbiamo un tendine rumoroso (che produce scrosci), ispessito e con dei ‘noduli’ palpabili all’interno di esso, allora è probabile si tratti di un tendine degenerato. Se insieme a questo si è improvvisamente avuto un aumento del dolore in risposta all’aumento del carico si tratta di tendinopatia reattiva su base degenerativa.

CALCIFICAZIONI

La tendinite calcifica, o calcificazione tendinea, è un disturbo comune caratterizzato dall’accumulo multifocale di cristalli a base di fosfato di calcio, all’interno dei tendini. Gärtner e Heyer analizzando i depositi calcifici, hanno scoperto che sono costituiti da cristalli di idrossiapatite. Sono stati proposte varie eziologie tra cui l’ipossia tendinea, la genetica, o un disordine endocrino; tuttavia, una eziologia definitiva non è ancora stata identificata. L’ipossia tendinea è sicuramente legata ad un alterazione della pressione sul tendine (una spalla anteposta per esempio comporterà un’alterazione della biomeccanica della stessa, con uno squilibrio di alcuni movimenti molto precisi), e conseguente riduzione del flusso in quella porzione, che in seguito va incontro a calcificazione.

Questa calcificazione “cellulo-mediata” si ritiene che si verifichi in 3 fasi distinte: una fase pre-calcifica, una fase calcifica, e una fase post-calcifica. Durante la fase pre-calcifica, il tendine subisce una trasformazione fibrocartilaginea con metaplasia dei tenociti in condrociti. Sono presenti dunque aree di tipo vascolare con metaplasia fibrocartilaginea. La fase calcifica è ulteriormente scomposta in una fase di formazione (in cui i cristalli di calcio sono depositati in vescicole che si fondono per formare grandi depositi), una fase di riposo (durante il quale la raccolta di calcio cessa), e una fase di riassorbimento (durante la quale spontaneamente avviene un processo di riassorbimento del deposito di calcio). Il dolore più grande è frequentemente presente durante la fase di riassorbimento.

Quando scopri una calcificazione potrebbe essere li da mesi o da anni e probabilmente non è relazionato con il caso acuto. Bisogna ignorare la calcificazione e curare il tendine. L’unica terapia è l’esercizio ed il carico, il resto è dannoso o inutile. L’esercizio non è attraente come spendere molti soldi per un’iniezione magica (che può essere utilizzata, ma solamente con l’obiettivo di ridurre il sintomo). Ci va pazienza! La clinica è spesso distante dalle immagini ed il trattamento va dosato in base alla clinica, non altro.

TIPI DI TENDINOPATIE

DITO A SCATTO

È un’altra situazione in cui la chirurgia la fa da padrona. Una piccola e veloce incisione cambia radicalmente e stabilmente la situazione. Si tratta di un inspessimento del tendine che, quindi, non scorre più all’interno del tunnel fibroso, producendo così lo scatto. Esistono però alcune situazioni in cui l’inspessimento può regredire senza l’uso della chirurgia. Tipicamente questo può avvenire nella donna che è appena entrata in menopausa e può avere dei flussi ormonali molto differenti in pochi mesi ai quali i tendini rispondono in modo più o meno compensato. Anche per il maschio esiste la possibilità di regressione ma ovviamente, questa, è legata alla precocità dell’intervento conservativo e alla bassa intensità del fenomeno.

EPICONDILITE

È uno dei capitoli in cui si raccolgono più soddisfazioni con la terapia proposta da Jill Cook, fisioterapista e ricercatrice australiana. L’esercizio perpetuo e progressivo, generalmente con l’uso di un bastone, modifica la biologia del tendine patologico. La presa della mano sul bastone ogni giorno si sposta di un centimetro per aumentare progressivamente il punto di leva mentre in braccio lo fa roteare in senso orario e anti-orario producendo un effetto vettoriale sul tendine dell’estensore comune delle dita. La parte più difficile di questo esercizio è scegliere intensità e numero di ripetizioni per iniziare ad “allenare” il tendine. Questa decisione deve essere affidata ad un fisioterapista esperto nel trattamento delle tendinopatie. Iniziare con un esercizio troppo leggero può non portare ad un miglioramento e, viceversa, iniziare con un esercizio troppo impegnativo può addirittura peggiorare la situazione.

L’epicondilite è espressa dalla sofferenza dei tendini dell’avambraccio che conducono una giornata in tensione perpetua (il mouse per esempio) o per dei vettori eccessivi (l’uso del martello) o per stress anomali (la vibrazione del martello pneumatico o di certi volanti è intollerabile per le nostre fibre). Delle volte ci sono posizioni limite che costringono il tendine contro la testa del radio producendo un effetto compressivo ipossico (non arriva più ossigeno al tessuto). È chiaro che, all’interno della proposta terapeutica, il fisioterapista dovrà pensare anche alla riduzione o alla sospensione dagli stress lesivi.

CAPO LUNGO DEL BICIPITE (SPALLA)

È un tendine che soffre il fatto che l’uomo, portandosi in posizione eretta a partire dalla quadrupedia, lo ha costretto a passare la vita schiacciato contro la parete anteriore dell’omero e tutta la sua sfericità, producendo molte forze compressive e di frizione. E’ piuttosto comune che, ad una certa età, questo produca dolore e rottura. Il fatto si esplica nel segno di Popeye per il quale si nota una “collinetta” dovuta alla retrazione del muscolo che si ritira, rappresentando il classico muscolo tondo.

Terapeuticamente c’è ben poco da fare, lo si recupera chirurgicamente solo in caso di esigenze estetiche o per grossi sintomi come per esempio crampi.

Per le situazioni precoci che si esprimono con dolore invece il fisioterapista può bilanciare le forze che coinvolgono la spalla, in modo da sollevare il tendine dalle sollecitazioni che non gli competono (per esempio le tipiche spalle “in avanti” per attività ripetitive).

CUFFIA DEI ROTATORI E SOVRASPINATO (SPALLA)

E’ formata da quattro tendini di cui il più esposto è quello del muscolo sovraspinato. Anch’esso si colloca in una posizione sfortunata per la quale si trova a “panino”, quindi interposto, tra la testa dell’omero ed il tetto acromiale. Nella sua vita subisce molte compressioni (o per meglio dire schiacciamenti) e, avendo una lunghezza esigua, mal sopporta anche i grossi accumuli nel fenomeno a molla (per esempio sport di lancio o lavori pesanti).

Anche in questo caso capire in quale modo lavora la spalla salva il tendine da sollecitazioni lesive, mentre, per le situazioni degenerative che si sono accumulate negli anni, è piuttosto comune riscontrare un foro asintomatico al suo interno. In entrambi i casi esercizi specifici, scelti dal fisioterapista in base alla tolleranza del carico e al lavoro del paziente (gli esercizi utili per un imbianchino sono sicuramente molto differenti dagli esercizi che vengono affidati ad un cameriere), hanno generalmente successo terapeutico.

PUBALGIA

Come per ognuno di questi temi, anche per la pubalgia si potrebbe scrivere un libro intero. Basti qui dire che solo due anni fa la comunità scientifica internazionale si è accordata nel ricondurre questa sintomatologia all’alterazione di uno o più di uno di quattro possibili responsabili (impingment dell’anca, sport hernia, legamento inguinale e sinfisi pubica). La verità però è che nella pubalgia le parti coinvolte sono molte e questa zona del corpo raccoglie le tensioni provenienti dai muscoli addominali, dagli adduttori degli arti inferiori, l’orientamento scheletrico del bacino, la sua torsione e molte altre considerazioni fini ma essenziali.

Ancora una volta la funzione che esplica il paziente gioca un ruolo importante nelle decisioni terapeutiche (pensiamo al calcio per un calciatore, attività estremamente asimmetrica, o la trazione degli addominali per un canoista). Sarà la successione di attenti esami consecutivi tra loro ad individuare il piano sul quale intervenire per ristabilire sollievo dai sintomi e funzione performante.

MEDIO GLUTEO

Il tendine del muscolo medio gluteo è l’unico capace per proiettare il dolore anche distante dalla sua sede, a causa delle intime relazioni con la borsa sottostante che condivide l’innervazione con la superficie della gamba. Detto ciò, che interessa più gli addetti ai lavori che altri, la sofferenza di questo tendine generalmente si riduce riducendo le sollecitazioni eccessive. Quando eravamo a quattro zampe il passo veniva condotto il più delle volte con tre arti a terra. Ora che siamo bipedi ad ogni passo dobbiamo rimanere su di una gamba sola e con la maggior parte del peso a sbalzo; tutto ciò a carico del muscolo medio gluteo. Tutte le volte che la sua capacità prestazionale (per forza o per durata) è insufficiente, questo si ripercuote sulle parti non contrattili come il tendine. La soluzione non può che essere ridurre il carico (quindi dimagrire o fare un movimento che non impatti in modo violento sul medio gluteo) o aumentare la forza/resistenza del muscolo con esercizio specifico. Null’altro può cambiare la situazione legata ai carichi, nessun farmaco, nessuna terapia esterna è capace di modificare in modo duraturo (l’infiltrazione può sicuramente dare sollievo dal dolore ma non può restituire la forza al muscolo) il modo di rispondere del tendine.

Ricordiamo che il medio gluteo delle donne, a causa della differente anatomia del bacino, è sottoposto a maggiore stress tensivo rispetto a quello maschile, che per conformazione meccanica reagisce molto meglio a stimoli che solitamente accendono il dolore come salire una rampa di scale o fare una lunga camminata in montagna.

TENDINE ROTULEO

È un altro distretto in cui il pacing (ossia “aumento graduale dei carichi”) proposto dalla collega già citata Jill Cook calza alla perfezione. Si può iniziare con degli affondi controllati su di un piano inclinato di 25°, poi si aumenta progressivamente la tensione sul tendine, modificando il numero di ripetizioni, l’intensità dell’esercizio o introducendo la molla attraverso i balzi, cambi di direzione ecc… fino ad ottenere, nei mesi, un tendine competente in tutte le funzioni richieste (che naturalmente saranno differenti per un atleta professionista rispetto ad un impiegato o ad una persona anziana) ed una organizzazione istologica ideale per l’ottimale e sana risposta ai carichi di lavoro.

TENDINE D’ACHILLE

È il distretto più complesso ma anche quello in cui si ottengono più soddisfazioni dall’esercizio. La complessità stà nella variabilità di problematiche possibili, si va dall’inspessimento dato dal contatto con la calzatura, dalle attività a strappo date dal salto, dalle variazioni di terreno di gioco/calzatura/tipologia di allenamento, dalla parte attinente il capitolo vascolare, dal coinvolgimento degli acidi urici, dalle parti (non rare) di tessuto degenerato a tante altre situazioni che vanno attentamente identificate. Una volta individuata la situazione e la strategia da adottare però, l’achilleo è un tendine che promette grossi risultati terapeutici. A suo carico, sostanzialmente possiamo adottare tutta la disciplina presente nella dispensa “tendinopatie” in tutte le sue parti.

FASCIA PLANTARE

È un distretto in cui l’esercizio ci regala meno risultati. Nella sofferenza della fascia vi sono degli aspetti legati all’età, ma molte considerazioni sono da ricondurre alla calzatura. Cambiando calzatura raramente il sintomo passa, perché sul dolore e sulla conformazione del piede hanno un grosso impatto il numero di passi eseguiti negli anni in un ambiente costretto com’è la scarpa. Interrompere i pugni in ogni caso è un buon inizio, ma non di certo la guarigione.

Dal punto di vista terapeutico i provvedimenti sono multipli ma tutti devono essere accompagnati da molta pazienza, quello che può funzionare deve trovare inizio ma poi deve esser condotto per un tempo utile.

ALTRI TENDINI

Qualsiasi altro tendine si può lacerare, può dare dolore o andare incontro a patologia, ma, fuori dai casi esaminati, queste sono situazioni rare. Possiamo qui dire che il tendine del muscolo gran dorsale è talmente grande che può immagazzinare un’energia cinetica enorme, molti altri sono in posizioni estremamente protette, alcuni hanno sollecitazioni poco significative ed altri ancora hanno conformazioni più che sufficienti per garantire la tolleranza al lavoro.

DE QUERVAINNE

E’ una situazione delicata in cui due tendini ospitati in una cavità ossea vengono trattenuti da un retinacolo che si ispessisce, causando tendinopatia (soprattutto se da lungo tempo). Peggio ancora per chi ha una fascia che separa i due tendini tra loro all’interno del canale perché anch’essa si può ispessire. Per questo problema l’unica soluzione è solo la chirurgia oltre lo splint perché il riposo riduce l’infiammazione all’interno della sinovia. Il FT non può fare nulla, come nulla si può fare per il tendine del tibiale posteriore.

TIPOLOGIA DI FORZE APPLICATE AL TENDINE

Possiamo avere 4 tipi di forze sul tendine: forza tensiva, compressiva, frizione, fenomeno  molla e la combinazione di due o più delle precedenti. C’è poi la combinazione di tutte queste.

Perché così importante conoscerle? Perché sono la prima “cura” che dobbiamo avere in un tendine reattivo.
Ma entriamo nello specifico: i tendini collegano il muscolo all’osso e di conseguenza sono sottoposti a una grande quantità di tensione durante le attività che coinvolgono la contrazione muscolare o la resistenza a forze di stiramento. Questo è ciò che intendiamo per forza di trazione o tensiva.

Ogni volta che il piede poggia a terra durante la corsa il vostro corpo ha a che fare con una forza d’urto pari a circa 2,5 volte il peso del corpo. I corridori possono ridurre il carico di trazione semplicemente diminuendo la velocità, la distanza o prendendo una pausa se indicato.

Tuttavia la tendinopatia ha spesso un elemento di compressione che ha bisogno di essere affrontato. Per esempio nella tendinopatia prossimale dei flessori della gamba si pensa che il tendine venga compresso contro la tuberosità ischiatica (osso sotto il gluteo) quando l’anca è flessa, come ad esempio durante la seduta. La riduzione del tempo in cui si sta seduti è un modo semplice per ridurre questo carico di compressione.

Di particolare importanza è la riduzione dei movimenti che combinano sia carichi di compressione che di trazione. Rimanendo con l’esempio della tendinopatia del tendine dei flessori, la corsa in salita e lo stretching del muscolo bicipite femorale possono portare tensione al tendine mentre il tendine viene compresso contro la tuberosità ischiatica.

La frizione è causata dallo sfregamento del tendine stesso intorno alla guaina che lo avvolge (non tutti i tendini hanno questa membrana, come il tendine rotuleo), solo riducendo il carico possiamo ridurla.
La capacità dei tendini di immagazzinare energia e rilasciarla risponde alla molla (es. il tendine Achilleo), una forza molto elevata e legata al vettore velocità.

Spesso un tendine risponde a più forze ed è quindi necessario conoscerle e saperle gestire singolarmente per un adeguato recupero.

TRATTAMENTO

Gli obiettivi del management riabilitativo sono la diminuzione del dolore e l’aumento progressivo della capacità di carico del tendine. Si basa su un ragionamento clinico che varia a seconda della sede, stadio del tendine, livello di attività del soggetto e comorbidità.

Per semplificare la gestione possiamo dividere, come abbiamo detto, la tendinopatia in 3 fasi:

1) Reattiva

2) Degenerativa           

3) Reattiva su degenerativa

Il trattamento varia notevolmente tra questi stadi. Molti corridori hanno sentito parlare di esercizio “eccentrico” per i problemi tendinei. Questo probabilmente potrebbe peggiorare le cose in una tendinopatia reattiva, ma potrebbe aiutare nella fase degenerativa. Questo è il motivo per cui la fase è così importante: se non si identifica la fase giusta si potrebbero peggiorare le cose!

 

1) Tendinopatia reattiva

Probabilmente il trattamento più importante in questa fase è la gestione del carico . Ciò significa ridurre sia la trazione che il carico compressivo sul tendine. I tendini collegano il muscolo all’osso e di conseguenza sono posti sotto una grande quantità di tensione durante le attività che coinvolgono la contrazione muscolare o la resistenza a forze di stiramento. Questo è ciò che intendiamo per carico di trazione. Ogni volta che il piede poggia a terra durante la corsa il vostro corpo ha a che fare con una forza d’urto pari a circa 2,5 volte il peso del corpo. Fortunatamente i tendini sono pensati per essere in grado di resistere fino a circa 8 volte il nostro peso corporeo. I corridori possono ridurre il carico di trazione semplicemente diminuendo la velocità, la distanza o prendendo una pausa se indicato. Tuttavia la tendinopatia ha spesso un elemento di compressione che ha bisogno di essere affrontato. Per esempio nella tendinopatia prossimale dei flessori della gamba il tendine si pensa venga compresso contro la tuberosità ischiatica (osso sotto il gluteo) quando l’anca è flessa, come ad esempio durante la seduta. La riduzione del tempo in cui si sta seduti è un modo semplice per ridurre questo carico di compressione. Di particolare importanza è la riduzione dei movimenti che combinano sia carichi di compressione che di trazione. Rimanendo con l’esempio della tendinopatia del tendine dei flessori, la corsa in salita e lo stretching del muscolo bicipite femorale possono portare tensione al tendine mentre il tendine viene compresso contro la tuberosità ischiatica. Entrambi possono aggravare la condizione, soprattutto nella fase reattiva. Cook e Purdam (2012) descrivono il ruolo potenziale della compressione nella tendinopatia. Quanto segue è estratto da alcune loro scoperte:

Gestione del carico non significa scaricare completamente i tendini (per esempio saltando camminando con le stampelle), ma ridurre il carico ad un livello che permette al tendine di recuperare. Questo può significare riposo dalla corsa o la modifica dell’allenamento a seconda della gravità della tendinopatia. La fase reattiva può essere relativamente breve – Jill Cook parla di questo e dice che il dolore potrebbe passare in 5-10 giorni, ma il tendine sarà ancora sensibile ai carichi e l’allenamento deve riprendere gradualmente per evitare recidive. Per come gestire il carico dobbiamo farci guidare dalla risposta del tendine, non solo nell’immediato ma anche nelle 24 ore successive. I tendini sono noti per avere una risposta latente al carico. Questo significa che possono richiedere 24 ore o più per reagire. Tenete presente questo fatto quando si corre, al momento si può star bene ma potreste avere una reazione il giorno successivo.

 

Nonostante la mancanza di infiammazione i farmaci anti-infiammatori (FANS) si sono dimostrati utili nella fase reattiva (meno nel dolore cronico). Si ritiene che questo accada perché inibiscono la produzione di proteine responsabili del gonfiore al tendine. L’ibuprofene è considerato uno dei migliori farmaci per questo ruolo e non sembra avere un effetto negativo sulla riparazione del tendine.

Anche il thè verde sembra essere utile in quanto contiene un antiossidante chiamato EGCG (gallato di epigallocatechina).

L’esercizio isometrico è fondamentale per ridurre il dolore e mantenere la forza muscolare nella fase reattiva (basta che non venga fatto in una posizione in cui il tendine è compresso). Si definisce esercizio isometrico quello in cui il muscolo lavora contro resistenza senza creare movimento articolare o modificare la lunghezza mio-tendinea.

In particolare contrazioni di lunga durata e bassa intensità hanno un effetto analgesico per diverse ore.
In tendini altamente irritabili l’esercizio bilaterale, con più breve tempo di mantenimento e minor numero di ripetizioni al giorno è consigliato.

 Non allungate! ora questo potrebbe favorire un certo dibattito tra i corridori, ma in molti casi è ragionevole non allungare in una tendinopatia reattiva. Spesso proviamo di tutto per guarire prima, ma a volte è meglio attenersi a ciò che sappiamo funzioni. Il problema con l’allungamento è la potenziale compressione del tendine. Il tendine del flessore della gamba, per esempio, è spesso compresso durante lo stretching quindi rischia di aggravare i sintomi. A volte la lunghezza del muscolo è un problema che dovete affrontare, ma è probabilmente più saggio farlo dopo la fase reattiva. Si potrebbe provare con un foam roll o una palla per migliorare la flessibilità senza causare la compressione del tendine. Cook e Purdam (2012) suggeriscono che il massaggio possa essere una scelta migliore rispetto allo stretching per gestire la lunghezza muscolare e la flessibilità in una tendinopatia da compressione.

 Correre o fermarsi? La tentazione di stringere i denti e scendere in strada è sempre lì per un corridore, ma a volte è importante consentire al tendine un periodo di riposo adeguato. La scelta di correre o di riposarsi è in realtà una decisione piuttosto complessa. Una serie di fattori giocano un ruolo – ti stai allenando per una gara o solo allenamento in off-season? Quanto gravi e critici sono i sintomi? Riesci a trovare un modo per correre senza dolore (sia al momento e 24-48 ore dopo)? Come è il tuo corpo in generale – stai lottando con una serie di piccoli problemi che hanno bisogno di un po’ di riposo? Qual è il quadro più ampio – sarà meglio fermarsi prima che questo diventi un problema persistente nel lungo termine? Penso che con la tendinopatia sia meglio rimanere dal lato della cautela, soprattutto nella fase reattiva. Sappiamo che la gestione del carico è senza dubbio la parte più importante del trattamento quindi se si continua a caricare un tendine reattivo questo potrebbe restare in quella fase reattiva/dolorosa a lungo o progredire fino alle modifiche strutturali del tendine. E’ una questione di equilibrio, anche il riposo eccessivo potrebbe essere dannoso, è quindi utile farsi consigliare dal fisioterapista per mantenere una buona dose di movimento.

Quando riprendete la corsa iniziate con una breve distanza o anche una passeggiata modello corsa e vedete come ci si sente. Resistete alla tentazione di aumentare la distanza in quel primo periodo se ci si sente

bene. Guardate come risponde nel corso delle 24-48 ore e partite da lì. Quando si corre si può anche svolgere un ruolo di diagnosi – a volte la tendinopatia è peggio in certi momenti della giornata, spesso le persone si lamentano di più del dolore al mattino, per esempio. Potrebbe essere più saggio correre nel corso della giornata se il tendine è meno sensibile in quel momento.

La buona notizia è che si può fare cross-train o esercizi con poca trazione o carico di compressione sul tendine come il nuoto, il ciclismo o il lavoro in palestra – sempre guidati dai sintomi durante e dopo l’esercizio.

 

2) Tendinopatia degenerativa

 

Questa fase tende ad essere più comune nell’atleta con più anni di attività anche se può presentarsi in corridori più giovani con una storia di sovraccarico cronico del tendine. Alcuni dei cambiamenti all’interno del tendine possono essere reversibili, ma è probabile questa sia una condizione che dovrà essere gestita a lungo termine. In assenza di sintomi un misto di gestione e progressione di carico sembrerebbero aiutare per migliorare la funzionalità tendinea.

Gestione del carico: molto importante è sapere che cosa aggrava i sintomi. Quando si sanno le cose che rendono la situazione peggiore, allora è possibile concentrarsi su queste. Ci sono due parti, la teoria e la pratica. Conoscere la teoria e vedere cosa succede in pratica è il consiglio. Usiamo come esempio la tendinopatia dei flessori della gamba.

 

Teoria: i sintomi saranno aggravati dalla compressione del tendine, come, per esempio, sedersi su superfici solide, sporgersi in avanti con le ginocchia dritte, correre veloce o trasportare un carico pesante (ad esempio correndo con zaino). Correre in salita aumenta sia il carico di compressione che di trazione ed è particolarmente provocativo di sintomi.

 

Pratica: prendere nota di ciò che in realtà aggrava i sintomi. Un diario di allenamento è molto utile per questo. Nota quale tipo di corsa hai fatto e tutti i sintomi in ogni giorno, questo potrebbe dare idea di cosa cambiare.

 

Gestione: evitare colline e lavoro in velocità inizialmente. Attenersi ad un ritmo confortevole con minore lunghezza del passo. Gradualmente reintrodurre potenziali fattori aggravanti, ma permettere al tendine di adeguarsi e controllare i sintomi.

Riposo: una grande parte della gestione della tendinopatia è come si utilizza il riposo. I tendini possono adattarsi al carico dando loro un tempo di riposo adeguato. Questo processo richiede circa 3 giorni dopo l’esercizio ma potete provare 1 giorno di riposo tra le corse per prevenire il sovraccarico ripetuto del tendine. Per quelli di voi che corrono 5 o 6 giorni a settimana un giorno di riposo dopo il vostro giorno di corsa più lunga o di gara. Se si ha un tendine degenerato potrebbe essere sensato sostituire 1 o 2 di queste corse con riposo o cross-training.

 

Graduale aumento di chilometraggio o intensità di allenamento – per consentire al tendine di adattarsi al carico, modifiche all’allenamento devono essere fatte gradualmente mentre si monitorano sempre i sintomi. Modificate una cosa alla volta e pianificate abbastanza riposo!

L’allenamento eccentrico è generalmente accettato che l’allenamento eccentrico sia una cosa utile nella gestione della tendinopatia degenerativa. Esistono molte evidenze a supporto, tuttavia la situazione può variare notevolmente tra gli individui. Non esiste una ricetta pronta! Forza, potenza o lavoro di resistenza avranno anche un ruolo nel prevenire problemi in futuro. Identificare eventuali problemi biomeccanici che potrebbero mettere ulteriore carico su di un tendine è necessario per affrontare e prevenire le ricadute per esempio nell’aumento di chilometraggio.

Emerge quindi con chiarezza, e la letteratura scientifica è in comune accordo, che la strategia migliore sia la gestione del carico. I tendini odiano e sono molto suscettibili a bruschi cambiamenti: saranno necessari piccoli step per riadattare il tendine alle attività più impegnative.

 

La chiave per una corretta gestione è la progressione graduale (aumento di chilometraggio o intensità di allenamento per consentire al tendine di adattarsi sia biomeccanicamente che strutturalmente al carico), un programma dura raramente meno di 3 mesi e può arrivare a 6-8 mesi.

In letteratura sono presenti diversi tipi di training specifici e sicuramente l’esercizio eccentrico riveste un ruolo fondamentale ma non è il solo. Diventa infatti importante modulare i parametri di allenamento come velocità e durata di carico e carico stesso.

Non esiste una ricetta pronta! la situazione può variare notevolmente tra gli individui.  

Identificare eventuali problemi biomeccanici e i fattori di rischio che potrebbero mettere ulteriore carico su di un tendine è necessario per affrontare e prevenire le ricadute.

 

3) Tendinopatia reattiva su base degenerativa

 

In questo caso si applicano i principi di gestione di una tendinopatia reattiva e di quella degenerativa: modulare il carico, considerare anti-infiammatori ed esercizi isometrici per inibire il dolore e valutare poi l’inserimento di un programma di training per migliorare la capacità di carico del tendine.

 

E le terapie strumentali sono efficaci?

L’efficacia della terapia strumentale è ancora controversa con tassi di successo molto variabile tra i vari studi. Le indicazioni sottolineano la ridotta efficacia di TECAR e ionoforesi mentre gli ultrasuoni parrebbero addirittura lesivi. Solamente LASER e onde d’urto sono realmente utili: mentre il LASER è indicato in fase reattiva le onde d’urto potrebbero risolvere i casi di tendinopatia cronici recalcitranti (sembra stimolare la guarigione tissutale e inibire i recettori dolorifici).

Per quanto riguardo le iniezioni di corticosteroidi invece si tratta di un’arma a doppio taglio, infatti spengono le vie dolorifiche inibendo i recettori e calmando l’irritazione ma possono creare un danno strutturale irreparabile che potrebbe causare la rottura del tendine stesso. Nel tempo si ossevano strutture a grani cristallizzate nelle sedi iniettate. La raccomandazione internazione è quella di tentare di evitarle e, in ogni caso di non superare mai le tre iniezioni l’anno.

ONDE D’URTO

Le onde d’urto focali, introdotte in medicina agli inizi degli anni novanta per la cura dei calcoli renali, da più di un decennio vengono impiegate anche per curare molte patologie dell’apparato muscolo scheletrico (tendini ed osso principalmente). Metodica non invasiva, le onde d’urto sono, in molti casi, una valida opzione terapeutica per la cura di molte patologie, anche in fase acuta, grazie alle sue proprietà benefiche di tipo antinfiammatorio, antidolorifico ed “anti-edema” (cioè per contrastare il “gonfiore”), nonché per stimolare la riparazione tissutale. Le onde d’urto sono onde acustiche (impulsi sonori, di natura meccanica), prodotte da appositi generatori in grado poi di propagarsi nei tessuti, in sequenza rapida e ripetuta. Sono caratterizzate da una particolare forma d’onda (prima fase di pressione positiva, seguita da un’altrettanto rapida fase, meno ampia, di pressione negativa), che le differenzia dagli ultrasuoni e che, nel suo complesso, è responsabile degli effetti biologici positivi applicabili in campo terapeutico.

A livello microscopico, la stimolazione con le onde d’urto è paragonabile ad una sorta di “micro-idromassaggio” in grado di generare un aumento della vascolarizzazione nella zona colpita, per stimolazione da parte degli impulsi sulle fibre simpatiche. Tutto ciòporta ad una rimozione dei fattori infiammatori con il rilascio di sostanze che stimolano la formazione di nuovi vasi (capillarizzazione). Oltre all’effetto antiflogisitico legato alla rimozione dei metaboliti dell’infiammazione, le onde d’urto inducono una riduzione del dolore mediante inibizione dei recettori specifici (che quindi non trasmettono l’impulso doloroso) e mediante il rilascio locale di endorfine, particolari sostanze prodotte dal nostro organismo, in grado di ridurre la sensibilità dolorifica.

La terapia con onde d’urto non viene applicata per “rompere o frantumare” le calcificazioni di tendini, legamenti ed articolazioni, ma per arginare i fenomeni di infiammazione e degenerazione tissutale, di cui la calcificazione può essere la conseguenza. In alcuni casi, dopo il trattamento con onde d’urto le calcificazioni possono “scomparire”: si tratta però di un fenomeno che può richiedere molti mesi e soprattutto non si verifica per “frantumazione” ma per azione biochimica di “scioglimento”, legata alla riattivazione della circolazione locale.

DETTAGLI DA RICORDARE

La capacità del tendine deve essere superiore al carico che propongo, allo stesso tempo questa si determina a seconda del carico che propongo: tipicamente il tendine di un impiegato può gestire piccoli carichi (soffrirà in occasione delle sporadiche attività fisiche, ad esempio le attività del 25 aprile), mentre il tendine dello sportivo sarà performante per grossi carichi (ma soffrirà ad inizio stagione quando, dopo uno o due mesi di decondizionamento, gli si ripropongono subito carichi alti).

In caso di sofferenza il tendine, sotto il profilo istologico, scompagina la sua trama e, negli interstizi si insinua neo-vasculogenesi accompagnata da innervazione capace di produrre messaggi nocicettivi in caso di tensione (anche ordinaria).

Per aiutare un tendine disturbato la prima cosa da fare è sollevarlo dalle occasioni di carico a molla e, immediatamente dopo, anche da quelle situazioni compressive (con strutture osse o con abbigliamento).

I restanti tipi di carichi vanno conservati con intensità idonea: la terapia consta, essenzialmente, nell’individuare un carico tollerabile e, attraverso una proposta numerica adeguata, alzare il livello di carico (ovviamente alzando così la capacità di carico) senza rischiare l’irritazione. Tutto ciò pernde il nome di PACING. Detto al contrario mai fermarsi ma porgredire gentilmente con continuità.

Nell’esercizio, ma anche nell’analisi della problematica valutare la strategia coordinativa con la quale il paziente compie il movimento è molto importante (magari salta come un pollo con l’uso delle braccia o in modo pesante come un elefante che casca) una buona molla ci permette di stare sulle punte.

ERRORI COMUNI

  • Levare completamente il tendine da ogni tipo di carico, la sua fibra diventa presto come un chewing-gum (questo è un fenomeno estremamente problematico). Il riposo è la peggior cosa da proporre;
  • cercare di andare veloci, il tendine è una struttura che guarisce molto lentamente;
  • caricare senza paura, irrito senza controllo le cellule;
  • trattare quando non cambia nulla (probabilmente è un degenerativo al limite delle sue possibilità residue);
  • fare iniezioni, il cortisone cristallizza e indebolisce la struttura del tendine (non modifica certo la capacità di carico del tendine);
  • pensare che non bisogna aumentare la forza (la salute del tendine è direttamente correlata alla sua capacità di gestire i diversi tipi di carichi);
  • concentrarsi solo sulla parte affetta, attenzione anche al muscolo sopra e a quello sotto (specie nei gesti come scendere un gradino).

CONCLUSIONI

Stabilire le fasi della tendinopatia è importante per guidarne la gestione. Cook e Purdam (2009) scrivono in poche parole: “Una persona adulta con un tendine spesso e noduloso potrebbe avere una tendinopatia degenerativa; al contrario, un giovane atleta, dopo un sovraccarico acuto con un rigonfiamento fusiforme del tendine avrà probabilmente una tendinopatia reattiva “. questi sono riferimenti di massima che però nella pratica clinica vediamo molte volte invertiti, oppure ci si trova a decifrare delle situazioni miste in cui bisogna scegliere una strategia per le diverse parti che compongono la sofferenza de tendine che il paziente ci porta ad esaminare.

Il tendine è il tessuto più lento a guarire, pensate che l’osso ci mette 21 giorni, il muscolo 5 settimane mentre il tendine 3 mesi. E’ naturale che spesso si provi con diverse strategie (che spaziano dai massaggi alle diverse terapie strumentali) per accorciare questi tempi di recupero ma si tratta di “palliativi” che possono dare benefici nell’immediato ma con il rischio di aggravare la situazione a lungo termine. E’ giusto considerare che nessuna terapia, se non l’esercizio è in grado di rendere il tendine adeguato alle stimolazioni e sollecitazioni cui lo sottoponiamo.

Come sempre si consiglia valutazione da parte di un professionista sanitario qualificato per aiutarvi a gestire quello che potrebbe diventare un danno persistente e difficile da gestire nel tempo.

Dott. Andrea Pagotto

FISIOTERAPIA MULE’

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